Ireneo, «Doctor unitatis»
È una storia affascinante quella di sant’Ireneo, che abbiamo festeggiato alla fine di giugno. Da sempre, ma quest’anno, in un certo senso, ancora di più, perché papa Francesco lo ha dichiarato Doctor unitatis, un titolo bellissimo, meritato da una lunga vita carica di segni di dialogo. Nato a Smirne intorno al 140, crebbe alla scuola di Policarpo – grande padre della Chiesa e martire –, vescovo della città. Qui apprese il vigore apostolico, crescendo a una scuola di eroismo. In una lettera all’amico Florino, purtroppo diventato eretico gnostico, scrisse: «Ricordo benissimo e ti potrei dire ancora il luogo dove il beato Policarpo era solito sedersi per parlarci e come entrava in argomento, discorrendo degli intimi rapporti con l’apostolo Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore». Qui, in questa traditio vi è tutto Ireneo. Custode della memoria, la diffonde e la difende, perché in essa vive una fede che cresce solo se custodita con cura e amore.
Non fece altro Ireneo, nella sua vita, che scrivere opere di difesa contro gli eretici, mentre nel frattempo si spostava dall’Asia a Lione, per motivi di lavoro. Qui divenne prete e poi formatore dei cristiani che dovevano affrontare il martirio. Li sostenne con coraggio, fino a diventarne poi vescovo. Fu una Chiesa di martiri, quella di Lione nel 177, e insieme un avamposto di teologia, che difendeva l’umano. Un Dio che si fa realmente carne, perché l’uomo vivente è la gloria di Dio e la gloria di Dio è la vita dell’uomo! Nel difendere la fede, Ireneo difese l’antropologia, la carne, il creato, il cosmo, le cose belle che la vita ci ha regalato. È tuttora modernissimo, Ireneo, perché ha saputo nella sua vita creare un’armonia basata sulla teologia dell’incarnazione, antidoto alle tante eresie, di ieri e di oggi!
Ma c’è un altro episodio, illuminante. Sotto papa Vittore, nel 190, la Chiesa di Roma si trovò a doversi confrontare con le Chiese d’Oriente che volevano fissare la celebrazione della Pasqua in una data differente. Ed ecco che la Chiesa di Lione propose proprio Ireneo come mediatore nella controversia. Egli ottenne un prezioso successo, invitando il Papa a essere più indulgente e garantendo in tal modo pace nella Chiesa. Quanto bisogno c’è, oggi, di preti saggi, che sappiano mediare con mitezza, pazienza, tempi lunghi... È stato pensando a Ireneo che la nostra Chiesa di Campobasso ha avviato un dialogo tra le Chiese di Molise e Calabria, unite da un filo rosso: la presenza delle popolazioni arbreshe, fuggite dall’Albania intorno al 1450 per non sottomettersi all’impero ottomano. E così vi fu chi raggiunse i piccoli borghi del Molise, chi invece trovò accoglienza sulle colline della Calabria, dove riuscirono a conservare anche il rito cattolico orientale. Oggi è il vescovo Donato Oliverio, Eparca, che, da Lungro, in una cattedrale ricchissima di icone e di mosaici dorati, guida questa preziosa comunità.
Ebbene, su intuito della Scuola di formazione socio-politica della diocesi di Campobasso, abbiamo scelto proprio la data del 28 giugno, festa di sant’Ireneo, per vivere l’incontro tra le due comunità albanesi di Molise e di Lungro. Una celebrazione della divina liturgia e un dialogo storico, sulla complessità dell’emigrazione e il cammino fatto lungo i secoli, mettendo in luce la forza dell’integrazione creata dalla comune fede espressa in gesti liturgici differenti ma complementari. È stata un’esperienza mirabile, una strada da indicare anche nelle attuali controversie in Ucraina, dove il fattore religioso, se non ben gestito, rischia di spaccare ulteriormente i popoli. La strada è solo questa: incontrarsi, dialogare, mettere insieme le reciproche ricchezze, creando sentieri di luminosa integrazione, che partono e portano tutti all’Unità. Sulle tracce del Doctor unitatis, sant’Ireneo.
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