Il Papa in Canada
Papa Francesco è in Canada dal 24 al 30 luglio: è il trentottesimo viaggio apostolico di Bergoglio che fa tappa nelle città di Edmonton (Alberta), Québec City (Québec) e Iqaluit (Territorio di Nunavut). Il quarto viaggio di un Pontefice in Canada ha un carattere «storico» perché è incentrato «sulla guarigione e riconciliazione» con i popoli indigeni. Un gesto dal profondo valore simbolico, dopo il mea culpa che il Papa ha rivolto ai nativi Inuit, Métis e delle Prime Nazioni qualche mese fa in Vaticano. Bergoglio ha chiesto perdono per quanto accaduto in passato, e drammaticamente riemerso negli ultimi tempi.
Nel maggio del 2021, furono ritrovati i resti di 215 bambini in una fossa comune, presso l’ex scuola residenziale indiana Kamloops, nella British Columbia. E poi altri ancora. Accrescendo così il bilancio delle vittime – almeno 6 mila secondo un rapporto del 2015 della Commissione per la verità e la riconciliazione – causato dal trasferimento forzato in collegi cattolici di oltre 150 mila bambini nativi. Una storia di soprusi e violenze compiute tra la fine dell’Ottocento e gli ultimi decenni del Novecento, quando il governo canadese istituì le scuole residenziali per assimilare culturalmente i bambini indigeni, affidandole alle Chiese cristiane locali, tra cui quella cattolica. Ne abbiamo parlato con padre Pierangelo Paternieri, missionario scalabriniano originario di Cremona, ma in Canada dal 1979, vicario episcopale delle Comunità culturali e rituali dell’arcidiocesi di Montréal.
Msa. Il Papa chiede scusa ai nativi nella terra dove sono stati perpetrati gli abusi.
Paternieri. Fa la cosa giusta. La Chiesa ha sbagliato, non doveva accettare la proposta del governo canadese di accogliere questi bambini negli istituti per fargli il «lavaggio del cervello».
Purtroppo si parla di abusi anche di tipo sessuale, e di bambini scomparsi.
È assolutamente vero, nessuno lo nega, ma sappiamo pure che in tanti si sono ammalati di tubercolosi. Il governo aveva promesso aiuti finanziari che non sono mai arrivati. I mezzi erano limitati, c’è da considerare anche questo.
Perché il Papa ha scelto di venire in Canada proprio in occasione della Festa di sant’Anna?
Perché quello di Sainte-Anne-de-Beaupré, il più antico luogo di pellegrinaggio in Nord America, è un santuario davvero importantissimo per gli indiani. Si radunano sempre lì. Il Papa va a casa loro. Così come ci sono indiani induisti che hanno una grande devozione per sant’Antonio di Padova e vanno a Toronto a pregare nella Chiesa di Sant’Antonio. Fa parte della loro cultura. Proprio come il Santuario di Sant’Anna fa parte della cultura dei nativi del Canada.
Che valore storico ha questo viaggio?
È un gesto di grandissima umiltà, e dimostra che la Chiesa non ha paura di riconoscere i propri errori, anche quelli più gravi. È la Chiesa del grembiule, al servizio degli altri, vicina alle sofferenze di tutti. Come Gesù che, nell’Ultima Cena, si mette il grembiule e lava i piedi ai discepoli. La Chiesa che Bergoglio rappresenta si mette in ginocchio e chiede umilmente perdono.
È un gesto che ricalca la personalità di questo Papa?
Rientra perfettamente nel suo stile, e in questo modo vuole purificare la Chiesa. Basta vedere tutti i cambiamenti che sta apportando nella curia romana.
Come hanno reagito i fedeli italo-canadesi al dramma delle violenze contro i nativi?
I fedeli sono rimasti scioccati, senza parole. I bambini non si toccano. In diverse chiese italiane si sono formati dei gruppi di preghiera. Come nella Missione della Madonna del Divino Amore, a Laval, e nella parrocchia della Madonna di Pompei a Montréal.
Qual è la reazione delle diverse comunità etniche rispetto ai nativi, spesso vittime di alcolismo e di isolamento sociale?
Il problema è profondo: la cultura di queste persone non viene rispettata. E così molti di questi nativi vivono nel degrado. Ci dimentichiamo che sono degli emigrati interni. Poi c’è l’aspetto socio-culturale interno alle tribù: chi non rispetta le regole del clan, viene escluso. Nella nostra diocesi c’è un diacono indiano che conosce la loro cultura e si occupa proprio di queste problematiche. La gente pensa che gli indiani siano i guerrieri dei film, mentre nella realtà appaiono purtroppo come un «residuo» di umanità.
Quali conseguenze dobbiamo aspettarci da questo viaggio del Pontefice?
Papa Francesco fa il suo passo, tocca a noi fare il resto. Rispettando le diverse culture, restituendo dignità alle persone. Perché, in fin dei conti, la Chiesa ha cercato di distruggere la cultura di un popolo. Quello del Papa è un gesto che rientra in un processo molto più ampio di dialogo interreligioso. Dal multiculturalismo dobbiamo andare verso l’interculturalismo, cioè il saper vivere insieme, il sapersi accogliere a vicenda. Se multiculturalismo significa camminare su binari paralleli, interculturalismo significa avere rapporti interpersonali nel rispetto della propria identità, della propria diversità. È l’arricchimento della conoscenza delle culture.
Papa Francesco sta rivoluzionando il linguaggio e la comunicazione della Chiesa.
Tante persone, anche molte di quelle che non vanno in chiesa, amano questo Papa. Un Pontefice vicino al prossimo, che si mette all’altezza delle persone per capirle. La gente lo ammira perché lui parla al cuore.
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