È ora di dire basta!
Non ce l’aveva fatta Laura, ancora una volta a sopportare la violenza di suo marito, quegli scoppi d’ira ingiustificati, quella rabbia continua che serpeggiava continuamente ogni volta che si sedevano a tavola e la lite scoppiava per un nonnulla, anche di fronte ai ragazzi che mangiavano in silenzio coi musi lunghi.
La sera prima era successo di nuovo. Però, a differenza delle altre volte, lei aveva reagito e la violenza di lui non si era fatta attendere: un primo schiaffo, un vassoio tirato via dalla tavola con un piatto che lui non gradiva, e poi le sedie rovesciate, e poi gli spintoni per tutta la cucina, e poi i pugni dappertutto e gli schiaffi, nonostante lei si proteggesse. I ragazzi terrorizzati, mentre lui urlava che se intervenivano ce ne sarebbe stato anche per loro. Anna, coi suoi 16 anni compiuti, era impietrita e solo tirava via il fratellino, Luca, di 6 anni, che piangeva e voleva aiutare la mamma.
Era passata la notte e ora Laura guardava allo specchio quei lividi che a malapena era riuscita a coprire col fondotinta, mentre un dolore al fianco la costringeva a camminare curva. Aveva trascorso quelle ore sul divano, sveglia e disperata. Al mattino aveva parlato coi suoi ragazzi minimizzando, cercando di rassicurarli per mandarli a scuola il più sereni possibile; poi anche lui era uscito per andare a lavorare. Adesso era in casa e si era accorta che la figlia, nella confusione, aveva dimenticato il cellulare sopra il letto, cosa mai accaduta prima e che la diceva lunga su quanto fosse in stato confusionale anche lei. E mentre le riordinava un po’ la stanza, per la prima volta nella sua vita le venne in mente di cercare nel cellulare della figlia qualche traccia, qualche messaggio a un’amica per capire se raccontasse fuori le cose terribili che accadevano in casa.
Sapeva di violare la sua privacy, ma lei doveva capire quanto questo dramma fosse invadente e penoso anche per i suoi figli. Aveva così aperto Whatsapp e trovato una chat di gruppo che Anna aveva chiamato «Noi tre», di cui facevano parte lei e le sue due migliori amiche e compagne di scuola, amiche del cuore che si portava dietro sin dalla scuola materna. La chat era pienissima di messaggi e gli ultimi risalivano alla sera prima, scritti anche molto tardi… Aveva cominciato a leggere trattenendo il respiro, perché amava quelle bambine che erano cresciute in casa sua e che considerava quasi delle figlie.
Anna: «Ragazze, è successo di nuovo. Stasera a cena credevo che babbo l’ammazzasse, solo perché non gli piacevano le fettine un po’ dure…».
Bea: «Dici di tua madre? Ma cosa le ha fatto stavolta? L’ha picchiata ancora?».
Vale: «Annie, mi spiace tanto, che bastardo tuo padre, ma perché stavolta? Vengo lì e lo meno io la prossima volta… devi chiamarmi subito».
Anna: «L’ha riempita di pugni e schiaffi, ha rovesciato cose dalla tavola... Io e mio fratello eravamo terrorizzati. Ci diceva che se ci mettevamo in mezzo, picchiava anche noi… volevo chiamare i carabinieri ma avevo paura che l’arrestassero».
Vale: «E tua mamma, poverina? Le ha fatto molto male quel bastardo? Io non so come facciano a dire che siamo tutti uguali, uomini e donne: è che loro se ne approfittano perché sono più forti, hanno i muscoli…».
Anna: «Mia mamma aveva un labbro spaccato e sanguinava, poi era tutta rossa sopra lo zigomo e la guancia sinistra… questa volta aveva provato a difendersi dopo che lui l’offendeva per quella stupida carne, ma lui diventa matto quando lei gli tiene testa, e ha cominciato come il mese scorso, vi ricordate che l’aveva quasi ammazzata in camera da letto?».
Bea: «Ma perché non lo denunciate, Annie? Se non volete andare dai carabinieri, ci sono le associazioni che difendono le donne, mi dicevano che c’è anche uno sportello rosa… Ma tu come stai? Hai paura, vuoi che ci vediamo fuori?».
Anna: «Non esco, non ce la faccio proprio, io voglio stare qui perché ho paura che lui ritorni e le possa fare ancora male, se sono qui posso aiutarla… che brutto, però, non ne posso più… Anche mio fratello mi fa pena, piange sempre e non vuole dormire da solo nella sua camera, stanotte alle due è venuto nel mio letto perché non riusciva a dormire!».
Bea: «Annie, devi dirci cosa possiamo fare, tua mamma prima o poi lui l’ammazza, se continua così… Quanti bastardi ci sono in giro, io la violenza non la sopporto proprio, come quando si pesta qualcuno che è più debole, maschio o femmina che sia, perché tanto se ne approfittano perché uno è più debole…».
Vale: «Scusa Bea, ma per me se la prendono più con le donne… perché di muscoli noi ne abbiamo meno e poi, dai, a noi non ci viene naturale difenderci con le mani... insomma, non è vero che noi siamo come gli uomini!».
Anna: «Ieri sera mi veniva da piangere dopo e poi vi ho scritto… mi era venuto in mente anche quel racconto che ci ha fatto l’educatore al gruppo in parrocchia un mese fa… Vi ricordate quell’incontro dove abbiamo parlato dei femminicidi? Ci ha pure raccontato di quando anche sant’Antonio aveva curato quella donna toscana che il marito aveva picchiato, tirato per i capelli, voleva uccidere e poi alla fine l’aveva lasciata mezza morta. Anche lì ci aveva raccontato che la donna aveva detto qualcosa, facendo andare in bestia il marito…».
Vale: «Sì, me lo ricordo, ma lì dopo sant’Antonio l’ha guarita completamente... ha fatto il miracolo, ma noi come possiamo fare ad aiutare tua mamma, e anche te e Luca?».
Anna: «Beh, io non penso che qui possa arrivare sant’Antonio, però quel racconto mi ha fatto un po’ bene. Ho pensato che lì il marito alla fine ha capito che la doveva smettere e dopo si era pentito… insomma c’è stata una bella fine, la donna si è salvata… hanno trovato il modo di scapparci fuori».
Bea: «Eh, ma non è che possiamo aspettarci sempre il miracolo dall’alto…».
Laura non si era accorta che le lacrime le scorrevano sul viso, creando come delle piste sul troppo fondotinta, che lasciavano trapelare il livido sottostante. Che forza quelle ragazze, che forza sua figlia stessa, che credeva ancora piccola e solo impaurita e passiva di fronte a questa situazione. Invece, lei che si sentiva all’altezza di prendersi cura della situazione, e non voleva uscire per paura che succedesse di nuovo, e cercava nella sua testa episodi di violenza simili a cui aggrapparsi perché avevano avuto una via d’uscita felice.
Sant’Antonio: ci pensò anche lei per un attimo, e il pensiero di quelle mani sante che lenivano le botte di un’altra povera donna simile a lei la inondò di tenerezza. Così, senza volere, si trovò a pregarlo: «Aiuta anche me, Antonio, da sola non ce la faccio!». Ripensò ad Anna che era cresciuta in fretta, mentre lei era chiusa nel proprio strazio di vittima e non se n’era nemmeno accorta. Eppure la madre era lei, ed era lei che avrebbe dovuto prendersi cura dei suoi figli costretti a vivere una delle esperienze più terribili che dei ragazzi possano vivere, quella della violenza domestica.
Si alzò faticosamente in piedi, tutto le faceva molto male. La fitta al fianco le toglieva il respiro, ma lo stesso posò il cellulare di Anna, chiedendole idealmente scusa di quella intromissione, ma anche ringraziandola, e prese il suo cellulare. Aprì Google e cominciò a cercare: «Associazioni contro la violenza sulle donne, chiama ora…». A questo punto poteva farlo!
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