Italia-Slovenia, la storia in un gesto
Un minuto di silenzio sotto un sole abbacinante. E una stretta di mano, la prima pubblica dopo il lockdown. Il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e il presidente della Repubblica di Slovenia Borut Pahor si tengono per mano, il 13 luglio scorso, a Trieste davanti alla foiba di Basovizza. Un segnale spontaneo, fuori dai protocolli e per questo potente. Un gesto che contiene tanti gesti. Lo fanno dopo aver deposto una corona di fiori nel luogo dove i partigiani jugoslavi scaraventarono nel 1945 duemila nostri connazionali, e dopo aver restituito alla comunità slovena il Narodni dom, la casa del popolo incendiata cento anni fa dai fascisti. «Oggi davvero sono state allineate tutte le stelle!», le parole del presidente Pahor.
La giornata ha rappresentato un appuntamento con la Storia atteso da decenni. Ne sa qualcosa chi, in questo tempo, da storici a politici, da commissioni speciali a istituzioni, ha cercato non tanto di riscrivere la Storia, quanto di far luce per guardare finalmente avanti. Una svolta che racconta di una minoranza che, però, non è una minoranza se si vanno a guardare anche solo i numeri: già nel censimento del 1910 c’erano più sloveni a Trieste che nella capitale Lubiana. E ci parla soprattutto di una città di confine che, proprio per questa sua posizione e conformazione geografica, affacciata sul mare e circondata da un altipiano, è da sempre crocevia di culture, crogiolo di razze, di diversità e di contrasti. La storia di Trieste, osservò lo scrittore Scipio Slataper nel 1912 ne Il mio Carso, è nei suoi porti.
«È un momento storico per la comunità slovena e per i rapporti tra Italia e Slovenia – spiega Walter Bandelj, presidente della Confederazione delle Organizzazioni Slovene (Sso) in Italia –. Dopo 100 anni lo stabile del Narodni dom comincia il suo percorso di ritorno alla comunità che lo ha progettato e costruito, facendolo diventare l’emblema di quello che la parte slovena rappresentava per la città di Trieste e per il territorio circostante. È un evento che segna la svolta definitiva da quel tragico giorno, quando le fiamme appiccate dalla mano fascista diedero il via a una persecuzione senza precedenti della componente slovena cittadina. Inoltre, siamo ancora commossi per il coraggioso gesto dei presidenti che hanno deciso di onorare i due monumenti a Basovizza posti in memoria dei quattro sloveni fucilati nel 1930 dopo la condanna a morte da parte del tribunale speciale, e delle vittime italiane che furono gettate nelle foibe da parte dei reparti comunisti delle forze jugoslave nel 1945. Non è stato solo un gesto coraggioso, bensì un dono per la nostra gente e per le nostre terre, affinché lo spirito europeo che ci accomuna entri in maniera capillare nel tessuto di vita e dei rapporti interpersonali, e che di questo possano in primis goderne i giovani d’oggi e le future generazioni».
Il presidente Bandelj da tempo sta promuovendo iniziative e incontri nel segno del dialogo. «Lo dobbiamo a chi è stato protagonista di questa Storia, ma soprattutto a chi verrà dopo di noi – aggiunge –. I nostri giovani sono già “avanti”. Lo vedo a Trieste, ma anche a Gorizia e in altre città: italiani, sloveni, croati, serbi socializzano senza problemi, studiano e si divertono insieme. Quanto successo non va dimenticato, ma non possiamo trascinarci la Storia per altri cento anni. I nostri ragazzi sono già stufi di ascoltarci».
A esserne convinta è anche Ksenija Dobrila, dal 2019 presidente dell’Unione Culturale Economica Slovena (Skgz). «L’incendio del Narodni dom, in quella “notte dei cristalli di Trieste” nel corso della quale furono distrutti altri venti luoghi simbolici della presenza slovena in città, rappresentano una ferita mai dimenticata e mai del tutto rimarginata. La volontà dei due Stati, italiano e sloveno, di tessere un nuovo dialogo nel segno della pacifica convivenza e del riconoscimento della minoranza slovena e, con essa, di tutte le minoranze, rappresenta il fondamento per qualsiasi Stato civile democratico. Dopo la firma per la restituzione del Narodni dom, oggi sede universitaria, ci auguriamo che la restituzione effettiva avvenga secondo la tabella di marcia concordata. Un gesto che non è solo simbolico: esprime, infatti, la forte volontà di dare ali al futuro nel segno della speranza, senza buttarsi alle spalle la Storia, ma facendone un pilastro portante nella costruzione di un’identità fondata sul riconoscimento delle proprie radici».
«Trieste, la mia città, mescola da sempre una pluralità di culture, di lingue, di civiltà, di storia e di storie. È questa la sua identità, non si può negare e da qui si deve ripartire, anche se nell’ultimo secolo questa ha portato a tensioni, conflitti, guerre, sopraffazioni. Ancora oggi è popolata da italiani, sloveni, serbi, croati, ma anche da armeni, tedeschi e francesi. Il passato non si cancella. Per troppo tempo, ad esempio, si è pensato allo stereotipo degli sloveni come abitanti del Carso o comunque solo a una sparuta minoranza rurale e non cittadina. A Trieste, invece, siamo in tanti e da secoli. Io sono nata a Trieste, i miei genitori pure. Anche nella toponomastica questa presenza andrebbe maggiormente evidenziata. Non si tratta di rivendicazioni, ma di piccoli riconoscimenti di una Storia che abbiamo il compito di affidare alle future generazioni nel segno della verità».
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