28 Dicembre 2020

La Chiesa siamo noi

Una giovane coppia di animatori si è sentita rifiutata in parrocchia. Che cosa fare in questi casi? Come affrontare il dispiacere?
La Chiesa siamo noi

© Giuliano Dinon / Archivio MSA

«Cari Edoardo e Chiara, siamo Marina e Giuseppe. Siamo sposati da otto anni e abbiamo due bambine di 4 e 6 anni. L’anno pastorale scorso, prima della chiusura causa covid-19, abbiamo dato la nostra disponibilità in parrocchia per fare gli animatori del corso fidanzati. Avevano bisogno e, dopo anni di un positivo percorso in un gruppo coppie dai frati, sentivamo che potevamo restituire qualcosa di quello che avevamo ricevuto nel Signore. Da subito non ci siamo sentiti accolti, non c’era astio ma una sorta d’indifferenza da parte del vecchio gruppo di animatori. Abbiamo pensato che fosse dovuto alle personalità dei componenti, poi, quando ci si è trovati per ragionare sul percorso, ogni nostra riflessione o tentativo di portare qualcosa di nuovo, partendo dalla nostra esperienza, veniva censurato dicendo che non andava bene, che i fidanzati erano tutti conviventi e non avrebbero accolto una proposta troppo spirituale, troppo alta, ecc. Allora abbiamo taciuto e ci siamo accodati. Il corso per noi è stato positivo e abbiamo portato il nostro stile nei momenti di gruppo, ma alla coppia che animava il gruppo con noi, da vent’anni animatrice nel percorso, sembrava che i nostri interventi e le nostre riflessioni fossero da esaltati, come fossimo gente che vive in un altro mondo perché raccontava la gioia dell’Amore di Cristo presente nel proprio matrimonio. Alla riunione di verifica finale, onestamente un po’ risentiti per come ci sentivamo trattati e visti dagli altri, abbiamo portato il nostro vissuto nella speranza che se ne potesse parlare e si potesse ricominciare meglio assieme. L’effetto è stato invece che tutti i “vecchi” animatori si sono sentiti criticati e messi in discussione da noi e ci hanno detto che quando una persona o una coppia entra in una nuova esperienza è lei che deve adattarsi a quello che c’è e non il gruppo adattarsi alla nuova presenza. Il parroco lo sentivamo un po’ impacciato nel tentativo di mediare senza dire nulla di scomodo per nessuno. Alla fine, quest’anno non ci hanno richiamati né contattati per riprendere insieme il percorso, e nessuno ci ha più detto o chiesto nulla. L’amarezza è tanta per questa esperienza e per l’immagine di Chiesa che ci ha restituito. Non vi neghiamo che ci è venuta la tentazione di dire che “se questi sono i cristiani, allora è meglio starsene alla larga”. Per fortuna ci salva una fede radicata in Cristo e il nostro gruppo coppie che ci è stato vicino. Alla fine ci chiediamo se ci sia qualcosa di distorto nella Chiesa, che produce rigidità, rifiuto ed espulsione. Dalla vostra esperienza, che cosa ci potete dire?».
Marina e Giuseppe

 

Carissimi Marina e Giuseppe, la vostra lettera ci crea al contempo dispiacere e speranza, tristezza e gioia. Ci verrebbe da dire, citando Carlo Carretto: «Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo! Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo! Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità! Nulla ho visto nel mondo di più oscurantista, più compromesso, più falso, e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello». Anche noi abbiamo vissuto situazioni simili alle vostre, anche noi ci siamo sentiti incompresi e rifiutati dalla Chiesa che amiamo e vogliamo servire, eppure anche noi continuiamo, come Pietro, a dire: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». 

La Chiesa è abitata da Cristo, ma la Chiesa siamo anche noi uomini e donne con tutte le nostre povertà, pochezze, fragilità. È vero, cari amici, ferisce sentirsi rifiutati nel proprio modo di essere, è frustrante sentir cadere sotto la scure del «si è sempre fatto così» i propri tentativi di portare uno sguardo diverso, fa ancora più male che succeda in un luogo che pensiamo essere intrinsecamente portato all’accoglienza, all’attenzione all’altro, al cammino di ascensione evangelica. Ma se ben guardiamo, neppure a Gesù con i dodici è andata granché bene. Uno lo ha tradito e venduto, un altro lo ha rinnegato subito dopo avergli promesso totale fedeltà, di altri nove non se ne ha traccia fino alla risurrezione. Percentualmente il fatto che sotto la croce ce ne fosse uno solo su dodici non lo definiremmo un grande successo. E questi erano quelli che lo avevano seguito, visto e ascoltato per tre anni, gli altri lo hanno umiliato e ucciso. 

I discepoli siamo noi, tutti noi, anche chi vi scrive. La Chiesa, sempre come scrive Carlo Carretto, ha i «miei difetti». Magari oggi sono i «vecchi» animatori che vi hanno escluso e criticato, ma probabilmente anche voi qualche volta non sarete stati capaci di amare totalmente… Ma, siccome non vi conosciamo, preferiamo parlarvi di noi due, Edoardo e Chiara. Anche noi a volte abbiamo faticato a trovare spazio per un dialogo rispettoso delle differenze, anche noi abbiamo ricevuto le nostre ferite proprio lì dove pensavamo di esserne al riparo, ma quante volte, anche noi, abbiamo ferito!

Quante volte anche noi non abbiamo amato i nostri figli come ne avevano bisogno in quel momento, non abbiamo sempre avuto tempo per chi aveva una ferita nel cuore, non abbiamo ascoltato fino in fondo con tutta l’attenzione che meritava chi ci portava le proprie tristezze, siamo stati presi dall’ansia di efficientismo piuttosto che restare in ascolto delle idee altrui. Quante volte anche noi non abbiamo amato il nostro fratello quanto Cristo lo ha fatto con noi.

Cari Marina e Giuseppe, non c’è la Chiesa dei buoni e dei cattivi, non ci sono «gli altri» che non capiscono nulla da un lato e «noi» che invece facciamo un cammino bello e nobile, dall’altro. La Chiesa è unica, è il corpo di Cristo e Lui ha voluto che fosse abitata, fin dall’inizio, da peccatori. Oggi come allora c’è solo bisogno di perdono reciproco e misericordia, ricevuta dall’alto e ridonata verso chi ci è prossimo. Questo non significa che non si possa parlare delle cose che non vanno, degli atteggiamenti che non aiutano, ma che è bene farlo con un cuore umile, con la consapevolezza che il primo da perdonare sono sempre io.

Carissimi, siamo felici che questa esperienza non vi abbia scandalizzati a tal punto da uscire dalla Chiesa stessa, perché è veramente molta di più la bellezza che vi potete scoprire dentro rispetto alle brutture. Il Padre Celeste fa nuove tutte le cose, anche i nostri cuori.
Edoardo e Chiara Vian

 

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Data di aggiornamento: 28 Dicembre 2020
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