La forza della poesia
Vivian Lamarque, pseudonimo di Vivian Daisy Donata Provera Pellegrinelli Comba, è una scrittrice, poetessa e traduttrice italiana. Trentina di Tesero, vive a Milano dove ha insegnato per molti anni. Ha pubblicato diversi libri di poesia, tra cui Teresino (Società di poesia & Guanda, 1981, Premio Viareggio Opera Prima), Poesie dando del lei (Garzanti, 1989), Il Signore degli Spaventati (Pegaso, 1992, Premio Montale), Una quieta polvere (Mondadori, 1996), Poesie per un gatto (Mondadori, 2007), Poesie della notte (Rizzoli, 2007), Madre d’inverno (Mondadori, 2016). Molti testi poetici sono stati raccolti nell’antologia Poesie 1972-2002 (Mondadori, 2002). Ha pubblicato poesie in dialetto e libri di fiabe. Ha tradotto La Fontaine, Valéry, Prévert, Baudelaire. Dal 1992 scrive sul «Corriere della Sera». Siamo interessati alla sua visione del mondo, il contemporaneo perscrutato con gli occhi del poeta.
Msa. I suoi testi sono una fotografia lirica fatta anche di piccole cose, ricordi, aneddoti, spesso in forma diaristica e con abbondante uso di autoironia. Dove trova l’ispirazione per la scrittura poetica?
Lamarque. In quello che vedo e leggo e sento ogni giorno. Nella mia casa, o dalla finestra, o per la strada, o sui tram, o sui treni quando mi sposto per i miei libri. Sono sequenze che si ripetono apparentemente uguali ogni giorno, ma non mi stancano mai, mi sembrano nuove ogni volta. È un dolore pensare che un giorno questa sequenza si interromperà. In una poesia del mio ultimo libro L’amore da vecchia, dice un verso «Metterli in banca metterli in banca i giorni / risparmiarlo il tempo...», che non si esaurisca mai.
La poesia Il primo mio amore («Il primo mio amore il primo mio amore / erano due. / Perché lui aveva un gemello / e io amavo anche quello. / Il primo mio amore erano due uguali / ma uno più allegro dell’altro / e l’altro più serio a guardarmi / vicina al fratello. / Alla finestra di sera stavo sempre con quello / ma il primo mio amore il primo mio amore erano due / lui e suo fratello gemello») parla dell’innamoramento, del primo amore, cioè la madre? Ci racconta come la figura materna è stata linfa per la sua poesia?
La poesia non dice mai una sola cosa, almeno due, una sulla pagina e l’altra sul suo retro. Ciascun lettore, poi, aggiungendo la sua interpretazione, amplifica ulteriormente l’orizzonte dei versi. In questa poesia, uscita nel mio primo libro, Teresino, la realtà esplicita è l’innamoramento di me ragazzina per un ragazzino tedesco, e, poco dopo, anche per il suo gemello, appunto perché identico a lui. Il significato sul retro del foglio è nascosto a volte anche al poeta stesso che non di rado lo scopre solo successivamente. Così fu per me: non so quanto dopo mi resi conto di aver depositato sulla carta non solo quel mio primo amore che erano due, ma anche e soprattutto la realtà all’origine della mia storia, le due madri, quella che mi mise al mondo e quella che mi crebbe, che furono ispiratrici di molte mie poesie nel corso degli anni.
Orazio, che lei apprezza, dice «De te fabula narratur» («È di te che si parla»). Si può scindere, nel suo caso, la componente autobiografica dalla materia poetica? E se non si può, come gestirla?
Rispondo con il testo che apre la sezione Io sono autobiografica della raccolta L’amore da vecchia:
«... quando dico Miryam è di ogni figlia
di ogni figlio il nome, quando dico
foglie del mio balcone sono anche
del tuo, la mia finestra è la tua, lettore,
è affacciata proprio sulla tua via,
la mia poesia».
In una sua poesia un po’ giocosa, lei si autodefinisce «la scribacchina». Quanto la scrittura l’ha aiutata nel suo percorso di autoanalisi e di comprensione di sé e del mondo?
Il soccorso più pronto mi giunse quando avevo 10 anni: all’improvvisa scoperta di avere due madri, fece subito seguito l’apparizione, come di una stampella, della matita, della penna che scrissero le mie prime poesie. Il segreto che non osavo rivelare a nessuno si posò sulla carta, ne fu accolto, da allora fu inferiore al peso totale che per anni dovetti portare.
Nella sua raccolta del 2022 L’amore da vecchia leggiamo una poesia intitolata Sulla 90 i continenti, in cui un verso recita «la 90 è un continente un viaggio». Come vede possibile l’abbattimento delle discriminazioni tra le persone in questo viaggio?
Vedo solo grandi nuvole, nessun segnale di sereno. Sulla linea 90 e sulla 91 degli autobus, la grande maggioranza dei viaggiatori non è un «viso pallido» (come nella poesia chiamo noi bianchi); da loro è evitata, ci salgono solo se costretti. Quello che a me ogni volta sembra l’occasione per un grandioso viaggio intercontinentale, dagli altri è generalmente vissuto come un ravvicinamento coatto per niente gradito.
La poesia cambierà il mondo o il mondo sta cambiando il modo di fare poesia?
Nel mio libro Madre d’inverno l’ultima poesia è intitolata appunto Cambiare il mondo. Non smetto mai di correggere i miei versi, spesso anche quelli pubblicati, e in questa ho poi aggiunto ben cinque «forse»: «(...) forse sì, / forse le poesie “forse” lo cambieranno / un poco il mondo. / Però tra tanto / tanto di quel tempo...»... con altri “forse” ancora. Quanto alla sua seconda parte di domanda, anche noi poeti siamo il mondo, e con lui naturalmente cambiamo, siamo anche noi il suo specchio.
Può dedicare ai nostri lettori una poesia primaverile, sulla rinascita, sulla bellezza della natura?
A questo proposito, sulle meraviglie del Creato, vorrei proporre una mia poesia intitolata Prati. È stata inserita nella sezione Poesie con Foglie della mia ultima raccolta. Anche lei risponde alla sua domanda sul rapporto tra il mondo, il cambiamento e la poesia:
«Guarda, sui prati fioriti
sta per posarsi dell’oro.
Ai fiori ieri l’avevano detto:
Pronti che domani arrivano loro?
C’è attesa: si spìano i cieli
sui prati – stanno per posarsi le api».
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