La forza delle castagne
Sulle montagne della Garfagnana, Appennini della Toscana, i metati stanno fumando. Questi antichi essiccatoi, dispersi nella bellezza dei boschi, sono stati riaperti nei giorni della raccolta delle castagne. La prima nebbia dell’autunno, raccontano nei paesi della valle, ha ben maturato questi frutti. Sfuggendo alla loro scorza spinosa, le prime castagne sono cadute al suolo fin dai primi di ottobre. Giorni prima il sottobosco era stato ripulito e così, in lunghe giornate, uomini e donne, inginocchiati a terra, hanno cominciato a raccoglierle. Una fatica lenta e ripetitiva.
Sarà un buon raccolto, raccontano nei bar di Sillico, paese medioevale a 700 metri di quota. In Italia (in Piemonte, in Toscana, in Liguria, in Calabria, in Campania, boschi per una estensione di 800mila ettari) quest’anno verranno raccolte ben più di 30 milioni di chili di castagne. Un terzo in più rispetto a cinque anni fa. Ma, pensate, nel 1911, se ne raccoglievano 829 milioni di chili. La castagna, come la patata, ha salvato dalla fame la gente della montagna. Non siate troppo allarmati, però: vi sono nuove generazioni di ragazzi che salgono nei castagneti, riaprono i metati, e stanno ritrovando i fili di un’economia attorno questo frutto d’autunno.
Ogni giorno, in ottobre, si sono portate le castagne raccolte nei metati. Mani esperte avevano già acceso un fuoco al centro dell’essiccatoio. La brace non deve mai spegnersi: ogni sera e ogni mattina, per quaranta giorni, bisognerà andare a controllare. Il fuoco non deve fare fiamma, solo fumo. Ogni giorno, si aggiunge uno o due ciocchi. Nodosi e vecchi di almeno due anni. Le castagne, sistemate su un graticcio, devono asciugarsi. Alla fine, avranno perso i due terzi del loro peso. Allora si dovranno battere, devono cadere al suolo un’altra volta e poi bisognerà liberarle dalla pula, dalla buccia. Per questa operazione è necessario uno strano marchingegno, una specie di tritacarne. Una volta, in un novembre di nevischio e freddo, vidi Duilio, uomo dei boschi da sempre, trasportare questo apparecchio dentato, costruito più di ottanta anni prima, in mezzo al bosco. Toccava a lui macchinare: sbucciò le castagne con cura e velocità. Alla fine, eravamo tutti ricoperti di una polvere marroncina e dolce. Per giorni e giorni, la nostra pelle ebbe il sapore delle castagne. La macchina fotografica si era trasformata in un neccio, squisita piadina di castagne.
La gente della Garfagnana cercava di spiegarmi. Mi indicavano gli alberi e dicevano: «Ecco, questo produce le insetine, quest’altro le capanaccine». E poi, là dove gli occhi di un cittadino vedono solo castagni tutti uguali, i garfagnini osservano piante diverse che fanno maturare le rossole (buone per le caldarroste), le dolcissime carpinesi, le selvane, le pelosore, le nerone, le mazzangaie, le gragnanelle, le cardacee. Biodiversità.
È senza fine il lavoro delle castagne. I frutti, sbucciati dalla macchina di Duilio, vengono portati nelle case. Fuori è davvero già inverno. Per settimane e settimane, ogni sera, nei casolari di Sillico , di Brica, nei paesi attorno a Barga come nelle stanze di pietra dell’Alpe di Sant’Antonio, le famiglie passeranno le ore attorno a un tavolo: a chiacchierare e a ripulire, una per una, le castagne. È la cernita. Un lavoro da certosini pazienti. E poi, in furgoncino, si va al mulino. Che sta alle Fabbriche di Vallico, giù in valle, e macina con la forza dell’acqua. A metà di novembre, ci sarà la farina nuova.