La lezione di Angela Zucconi
Se penso alle persone che più hanno influito sulla mia formazione (e sulle mie troppe vocazioni!) mi vengono in mente più nomi di donne che di uomini. Certo, Danilo Dolci e Aldo Capitini sono stati per me fondamentali, tra Sicilia e Umbria, ma non è stato meno importante Raniero Panzieri a Torino, al tempo dei suoi «Quaderni rossi». E prima ancora: Silone e Chiaromonte e Herling dell’area di «Tempo presente», i socialisti Lelio Basso e Riccardo Lombardi, il pedagogista Lamberto Borghi, il comunista Lucio Lombardo Radice, il maestro del Movimento di cooperazione educativa Aldo Pettini, e qualche cattolico d’area dossettiana. E non posso certo dimenticare i «fratelli maggiori» con i quali molto ho discusso e molto ho litigato: da Bilenchi a Pasolini, da Pratolini a Volponi, a, più indirettamente, Sciascia. E alcuni preti visti nel concreto del loro operare, delle loro «battaglie»...
Sul piano del «lavoro sociale» e «pedagogico», del concretissimo «che fare» di tutti i giorni, da nessuno di loro ho appreso quanto da Ada Gobetti, da Angela Zucconi, dalle maestre del Mce (Movimento di cooperazione educativa) Idana Pescioli e Dina Parigi, da Dina Bertoni Jovine, storia della scuola italiana (vedova, peraltro, di uno scrittore amatissimo ma che non ho potuto conoscere, Francesco Jovine, l’autore del mirabile Signora Ava), e da due grandi scrittrici come Elsa Morante e Anna Maria Ortese, sulle cui idee non ho mai smesso di riflettere... Ne ho avute, di fortune, negli anni della mia formazione! E dopo. E oggi ancora.
Ma chi è stata Angela Zucconi, che fu, tra l’altro, intima amica di due donne straordinarie come Natalia Ginzburg e Giuliana Benzoni? (su quest’ultima, poco nota, vorrei prima o poi ritornare...). Ternana, Angela Zucconi cominciò come traduttrice dal tedesco o dal danese delle opere di Kierkegaard per le Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti; fu allieva di don Giuseppe De Luca e fu frequentatrice del piccolo eremo spoletino di sorella Maria di Campello (che, ricordo, fu in corrispondenza, tra gli altri, con Gandhi e con Schweitzer...) ma credo che l’influenza decisiva sulle sue scelte, sia intellettuali che sociali, fu quella di Adriano Olivetti, con cui collaborò in Basilicata al tempo delle grandi riforme post-belliche.
«Adriano», come tutti lo chiamavamo, finanziò la scuola per assistenti sociali Cepas a Roma, diretta inizialmente da quella Maria Comandini Calogero (altra grande «maestra»). Grazie a Olivetti, Angela avviò un’esperienza di intervento in una zona depressa dell’alto Abruzzo, che fu noto come «progetto E», perché la zona prescelta era quella che sulla carta geografica era segnata dalla «e» di Abruzzo «e» Molise...
Negli anni del suo declino, Angela si ritirò ad Anguillara, vicino Roma, un paese di cui scrisse la storia, vivendovi insieme a Florita Botts, un’assistente sociale statunitense conosciuta a Puerto Rico, un’isola che è ora uno «Stato dell’Unione» ma che fu poverissima quanto lo è ancora oggi Haiti... Ha scritto un bellissimo libro di memorie e riflessioni, Cinquant’anni nell’utopia e il resto nell’aldilà, più volte ristampato. Per lei e per tutti noi che fummo suoi allievi, quella sintesi del «lavoro sociale» stabilita da Maria Calogero al convegno di Tremezzo – dove nacque, nel 1946, la professione moderna delle e degli assistenti sociali –: «Aiutare gli altri perché si aiutino da soli» è un messaggio che non andrebbe mai dimenticato, dai credenti come dai non credenti preoccupati del bene comune, della giustizia sociale.
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