22 Giugno 2025

La memoria insicura

Esplora la possibilità di una romantica storia d’amore tra soggetti problematici, orgogliosi, diffidenti eppure sinceramente generosi il film «Memory» (Messico-Usa 2023) di Michel Franco.
La memoria insicura

© Teorema 2023

A una festa con ex compagni di liceo, Sylvia incontra Saul e cerca d’evitarlo, ma Saul la segue fino a casa e, chiuso fuori, resta sul marciapiede a dormire al freddo sotto la pioggia. Sylvia è un’assistente sociale e vive da single con una figlia tredicenne. Saul, 50enne, ha purtroppo un Alzheimer in fase iniziale ed è sotto tutela dei familiari. L’equilibrio raggiunto da Sylvia (da tredici anni non tocca alcolici, come rivela alle riunioni per alcolisti anonimi) vacilla. Sylvia collega Saul al ricordo di violenze subite dai maschi a scuola e forse a qualche trauma più antico. Sylvia non riesce a sottrarsi al fascino di un giovane malato, che cerca di tutelare la propria vita privata e mostra una delicatezza commovente nel chiedere e dare aiuto. Sono due menti spaventate: Sylvia attiva ossessivamente i dispositivi di sicurezza domestici; Saul cura la malinconia ascoltando ripetutamente una struggente canzone dei Procol Harum (1967), la quale è più un oracolo misterioso che un testo melodico. 

La memoria è il tema esplicito del film Memory (Messico-Usa 2023), come avverte il titolo. La memoria è sempre insicura. Ci sono passioni attuali così forti che distorcono i nostri ricordi. Ci sono speranze così vivide da farci immaginare d’aver già vissuto presagi dei beni cui aneliamo. E poi c’è la rimozione: la paura di confrontarci con un’arcaica ferita ci induce a minimizzare o seppellire nell’oblio le nostre cicatrici mentali o, inversamente, a negare le nostre autentiche colpe. La famiglia non è sempre d’aiuto, perché anche il gruppo ha le sue nevrosi e suoi peccati: il genitore invidia magari la vitale spregiudicatezza del figlio e ne soffoca i gesti d’emancipazione; un fratello pretende di far da padre o madre alla sorella, dimenticando che i buoni legami di sangue non s’inventano all’ultimo momento, che l’amicizia non si conquista a forza di comandi e che i vincoli affettivi si esprimono in gesti di prossimità, senza i quali la generazione biologica è vuota di significati umani.

Il regista messicano Michel Franco, nato nel 1979, ha magistralmente rappresentato l’impotente dignità dei malati in Sundown (Tramonto, del 2021) e qui, in Memory, ritaglia le inquadrature del film entro piccoli spazi e cornici interne. Franco oscura la fotografia di una desolata, gelida, boscosa New York, lascia galleggiare le ipocrisie (il non detto, il non visto), sorprendendo ogni volta noi spettatori e congelando la nostra fiducia. Non sappiamo a chi credere. Non ricordiamo bene quello che abbiamo appena visto. Non sappiamo che cosa ci attende dopo una pausa di buio. I dialoghi sono scarni. Il finale è anch’esso sospeso e bellissimo.

Come una volta scrisse Freud, la terapia non sta nell’esatta ricostruzione archeologica degli eventi, ma nella costruzione a due (paziente e analista) di una narrazione condivisa, in cui si esprime l’alleanza d’aiuto, che cambia ambo i partner. È così anche il destino dell’amicizia. Se tu mi ascolti e mi concedi una pausa per sognare un futuro a occhi aperti e raccontartelo, allora mi ricorderò di te. Penserò a te quando mi guarderò indietro e finalmente piangerò la delusione che non volevo vedere. Un dolore che mi gonfiava di lacrime le palpebre. Se ti rifiuti di accogliermi, se non sopporti chi piange, di gioia o di dolore, allora renderai conto al tuo frivolo egoismo e si seccherà anche la pianta dei tuoi sogni.   

Il cinema è una fabbrica di memorie: custodisce ricordi visionari, li confronta al presente, immagina cose mai viste e le insegue in una coraggiosa esplorazione di possibili trame future. Spesso il presente dello spettatore gronda di interessi vitali, di passioni febbrili. Altre volte è depresso in una penuria di prospettive, in una ripetizione banale, scontata, ottusa, conservatrice. Il cinema vuol andare a vedere. E qui, in Memory, il cinema scopre la possibilità di una romantica storia d’amore tra soggetti problematici, orgogliosi, diffidenti eppure sinceramente generosi.  

L’aspetto teologico del cinema è la sua nostalgia d’altro, la sua opaca memoria di un mondo liberato, il suo sogno di una casa in cui dimorare finalmente in una pace gioiosa. Qualcuno ne ha parlato, qualcuno ne ha dato notizia. Verrà un mondo giusto, gli storpi cammineranno, i ciechi (ecco il miracolo) vedranno. Al cinema lo spettatore porta le sue storie interrotte, il ricordo delle ferite patite o inferte ad altri, l’attesa di una luce che perfori il buio della sala e mostri una traccia di guarigione, un’icona di salvezza, per la cui causa impegnare i propri precari sforzi. Ma il cinema non ha poteri taumaturgici. La verità dei film è fatta anche di prospettive incerte, di finali noir come la notte, è fatta delle lacrime di una madre che difende il proprio diritto di ricordare gli abusi subìti quando era piccola. Una madre che si lascia ora sostenere della figlia che le fa da mamma, che la carezza, che l’autorizza ad amare. Il cinema è un bambino curioso che ci cresce dentro. Implacabile nella sua sincerità. Testardo nel giudizio. Misericordioso con chi chiede perdono.

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Data di aggiornamento: 22 Giugno 2025

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