La preghiera si fa pane di carità
Gli inviti a «dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati e vestire gli ignudi» occupano i primi tre numeri dell’elenco delle «opere di misericordia corporale». Che potremmo anche chiamare «opere di giustizia», perché all’origine di molti dei casi che siamo invitati a prenderci a cuore c’è una situazione di ingiustizia, di inequità, frutto di un egoismo che ottunde la mente e inaridisce il cuore.
Per consentire, allora, alla mente di ritornare limpida e al cuore di rifiorire, il Giubileo prescrive queste ottime «pillole» di misericordia, o piccoli gesti di restituzione e ricomposizione dell’iniziale armonia, di quando cioè Dio ci creò figli suoi, tutti uguali in diritti e prospettive. Armonie poi lacerate dall’avidità dell’uomo, creando in ogni tempo affamati, assetati, ignudi, persone che hanno bisogno di pane e di acqua per non morire. E di altro ancora, per vivere nella dignità cui ognuno ha diritto.
Il santuario del soccorso La Basilica del Santo, in questo senso, è luogo privilegiato, perché qui da sempre la devozione e la preghiera si sono fatte carità, soccorso dei tanti che chiedevano un pane per sfamare se stessi e la famiglia. I frati, figli e confratelli di due santi, Francesco d’Assisi e Antonio di Padova, che sull’evangelico amore a Dio e al prossimo bastonato dal destino hanno fondato la vita, a tali richieste d’aiuto non si sono mai sottratti, anche perché quella è pure la loro scelta.
L’attenzione al povero si è concretizzata in una tradizione – avviata in tempi lontani e proseguita in forme spontanee per secoli – che consiste nell’offrire «per grazia ricevuta» frumento o pane da distribuire, tramite i frati, ai poveri. Di tale rito ci ha fornito preziosa documentazione Tiziano Vecellio, il grande pittore cadorino, ritraendo da par suo Nicola da Stra, priore dell’Arciconfraternita, mentre estrae da una cesta il pane per distribuirlo ai poveri. L’opera, datata 1511, abbellisce un angolo della sala delle adunanze dell’Arciconfraternita, nella Scuola del Santo che s’affaccia sul sagrato della Basilica.
A quella data, la tradizione contava già un paio di secoli di vita, essendo la sua origine fatta risalire a un miracolo compiuto da sant’Antonio, da poco scomparso, narrato con partecipazione da uno dei primi biografi di Antonio, Jean Rigaud, autore di una Vita del Santo, detta Rigaldina, scritta nel 1293. Protagonista del racconto è un bimbetto di una ventina di mesi, lasciato incautamente dalla madre solo a casa accanto a un capace recipiente colmo d’acqua. La voglia del bimbo di tuffare le mani nell’invitante liquido gli è fatale. Aggrappatosi al secchio, ci finisce dentro e annega. Le urla di disperazione della madre, ritornata a casa, fanno accorrere i frati e i muratori occupati nella costruzione della Basilica. Non c’è nulla da fare, il piccino non dà segni di vita. La madre, però, non si rassegna: con il bimbo esanime tra le braccia alzate al cielo, invoca l’aiuto miracoloso del Santo, promettendo che se glielo fa tornare in vita, donerà ai poveri tanto frumento quanto è il peso del bimbo. Così avviene.
Quel gesto, identificato come pondus pueri, «il peso del bambino», è stato ripetuto da altre mamme che, nell’invocare la protezione del Santo sui loro figli, promettevano frumento o pane per i poveri, instaurando una tradizione.
L’Opera del pane dei poveri La tradizione, per adattarsi alle esigenze e alle richieste dei poveri, è proseguita con alcune modifiche nei secoli, aggiungendo al pane altri interventi di prima necessità. Il tutto in modo costante ma informale, almeno fino al 1897, quando la secolare tradizione venne istituzionalizzata nell’«Opera del pane dei poveri», complici alcuni fattori quali l’accresciuto interesse della Chiesa per le questioni sociali e la sensibilità verso i poveri; l’onda lunga del 1895, centenario della nascita del Santo che aveva rinverdito l’attenzione e l’impegno verso questi problemi; infine l’emulazione di iniziative analoghe già sorte in Francia e nella stessa Padova. L’anno seguente nasceva anche il «Messaggiero di sant’Antonio» (proprio così, con quella «i» in più nella prima parola, che poi scomparve dal 1931), frutto anch’esso del centenario antoniano, che si fece subito portavoce della coetanea istituzione di solidarietà perché, com’è scritto nel suo primo editoriale, «senza una parola su di essa, il nostro periodico mancherebbe del suo fine principale». Tale attenzione nel 1903 si tradusse nell’aggiungere al sottotitolo della testata «Organo della basilica», «Sede del pane dei poveri».
La cosa prese a funzionare così: nei giorni prestabiliti della settimana, i richiedenti trovavano sempre, nei chiostri o in altri locali attigui al santuario, i frati con ceste colme di odorosi pani, pronti per la distribuzione. Presto anche le foto documentarono le lunghe file di poveri in attesa. File che si ingrossarono nei giorni tragici delle due guerre, quando la moltiplicazione dei bisogni impose la diversificazione degli interventi, con l’offerta di pane, legna, vestiario e ogni altro genere di prima necessità utile per uscire da difficili situazioni. E oltre a ciò la fraterna accoglienza, il conforto di una buona parola e la presenza amica del Santo attraverso i suoi confratelli.
La Caritas Antoniana Sin qui, l’intervento avviene nell’immediatezza del bisogno: il pane (o il pesce) dato per saziare la fame. Saggezza vorrebbe, però, che si insegnasse all’affamato a pescarselo per non avere più bisogno di chiederlo in elemosina. Proprio tale saggezza ha fatto nascere negli anni Settanta, a fianco del «Pane dei poveri», un’altra istituzione che superasse la logica dell’assistenza immediata, prevedendo progetti a lungo termine, per mettere le persone nella condizione di uscire in modo permanente dalla povertà. Non solo in Padova, ma nel resto dell’Italia e nei Paesi del Sud del mondo. Sorgeva così, nel 1976, l’attuale Caritas Antoniana, moderna evoluzione della carità. Essa ha saputo utilizzare e indirizzare al meglio le «opere di misericordia» fatte dai lettori del «Messaggero» e dai devoti del Santo, realizzando nei Paesi più poveri del mondo un numero eccezionale di progetti, concepiti e realizzati con l’apporto delle persone del luogo, perché dovevano sentirli cosa loro e acquisire la mentalità e le capacità di proseguire con le loro mani nell’opera di riscatto dalla miseria, per riacquistare dignità e speranza.
ZOOMUna porta aperta alle periferie
L’«Opera del pane dei poveri» svolge oggi il suo servizio in modo discreto ma efficace, secondo le mutate situazioni delle povertà presenti nel territorio. La sede è in via Orto Botanico, poco oltre il sagrato della Basilica, e garantisce la dovuta riservatezza a quanti chiedono di essere aiutati.
I pellegrini in quest’Anno santo varcano la Porta della Misericordia per ricevere, attraverso l’intercessione di sant’Antonio, i benefici spirituali del Giubileo. I poveri di ogni appartenenza religiosa, inoltre, troveranno sempre aperta la porta del Pane dei poveri: per loro non ha limiti di tempo «l’anno di grazia» che Gesù ha proclamato nella sinagoga di Nazaret (vedi Lc 4,19).
Nella sede di via Orto Botanico non ci sono più le ceste di pane fragrante che i frati distribuivano, ma l’accoglienza serena e rispettosa di fra Salvatore, di suor Federica, di suor Loredana e di alcuni volontari laici che si prendono cura di quanti varcano quella soglia portando situazioni di disagio economico e sociale.
Ogni settimana, dal lunedì al venerdì, vengono donati, per lo più a persone straniere in condizioni economiche disagiate, buoni pasto gratuiti per accedere alle cucine economiche popolari. Sono oltre 30 mila quelli erogati nel 2015, ma gli interventi prevedono anche l’acquisto di medicinali o il pagamento di ticket ospedalieri per persone poverissime e, per un determinato periodo, delle utenze domestiche (luce, acqua, gas) a famiglie in gravi difficoltà.
Sono questi ultimi gli aiuti più consistenti. Non mancano le visite degli operatori nelle famiglie di italiani e stranieri che chiedono soccorso, per offrire loro un momento di ascolto, necessario oggi quasi come il pane. Al «Pane dei poveri» sono di casa «le periferie» spesso evocate da papa Francesco. Sono «mondi altri», sconosciuti a molti, che rivelano dignità e capacità di sacrificio insospettate.
Non è sempre agevole intervenire nelle situazioni di povertà, trattate sempre con rispetto ma anche seguendo criteri che evitino forme di dipendenza. Anche se non sempre si possono modificare a fondo le criticità, almeno si dà un segno concreto di solidarietà, per ridare sollievo e fiducia.
Nello spirito dell’Anno santo della Misericordia, nel quale, come afferma papa Francesco nella bolla di indizione, aiuti materiali e spirituali devono andare di pari passo: «È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. Riscopriamo le opere di misericordia: in base ad esse saremo giudicati» (Misericordiae vultus, 15). I pellegrini che passano accanto alla tomba del Santo possono anche compiere le prime tre opere di misericordia corporale.
Il loro obolo moltiplicherà per molti, e in modi diversi, il Pane di sant’Antonio, che ripete anche a noi: «Ascolta il lamento del povero, se vuoi che un domani Dio ascolti la tua richiesta di entrare nel suo regno».