La ricetta di don Milani
Il 27 maggio 1923 nasceva a Firenze don Lorenzo Milani. Un uomo e un prete che, nella sua breve vita (morì a 43 anni), ha lasciato un segno indelebile nella scuola italiana. Di origine ebraica da parte di madre, si convertì al cattolicesimo ed entrò in seminario. Assunse il suo primo incarico sacerdotale a San Donato di Calenzano dove, negli anni Cinquanta, scrisse Esperienze pastorali, libro ritirato dal Sant’Uffizio perché considerato «inopportuno». Lorenzo venne quindi mandato come priore nella piccolissima parrocchia di Barbiana, nel Mugello fiorentino. Grazie al suo straordinario carisma, trasformò quel confino in una sorprendente esperienza pedagogica. Organizzò una scuola destinata ai ragazzi di quella montagna, costretti, anche tramite un sistematico meccanismo di bocciatura, a restare nelle stalle, sulla terra, e a rinunciare agli studi. Nacque così la «scuola di Barbiana». I ragazzi lo seguirono e con lui costruirono esperienze didattiche eccezionali. Sostenne sempre di non avere un metodo educativo ma, se la si analizza bene, la sua proposta era ricca di dispositivi pedagogici.
Tra questi, il più importante fu senz’altro quello del mutuo insegnamento, ovvero la propensione a favorire processi di apprendimento basati sulla condivisione: ragazzi più grandi ed esperti affiancano i più piccoli e inesperti. Applicò la scrittura collettiva e introdusse la lettura quotidiana del giornale, vissuta come una necessità di partecipazione alla vita sociale e politica, per poter non solo conoscerne l’attualità, ma anche prendere la parola. Da questa «abitudine», nacque uno dei documenti più interessanti della sua scuola: la Lettera ai giudici, contro la guerra e per il diritto all’obiezione di coscienza. Infine, resta tutta l’enfasi pedagogica che don Milani pose sulla questione della lingua, della parola, della comunicazione, del saper scrivere, del saper parlare, dell’avere una competenza linguistica in grado di reggere il confronto e di sviluppare l’autostima dei suoi ragazzi: solo chi si sa esprimere può far valere i propri diritti.
Barbiana viene ricordata anche per la Lettera a una professoressa, denuncia sulla natura discriminatoria, selettiva e classista della scuola, per cui i figli dei ricchi e dei laureati hanno una via facile per il successo. Famosa la sua sintesi: «Non si può fare parti uguali fra diseguali». Don Milani scommise sulla possibilità che i suoi alunni, messi nelle condizioni giuste, potessero farcela. Le riassumeva nella frase: «Dare ai ragazzi uno scopo». Tutti noi che ci occupiamo di educazione sappiamo di dover riconoscere a don Lorenzo Milani soprattutto un grande merito, quello di aver fatto maturare la consapevolezza che è facilissimo creare – volontariamente o involontariamente – situazioni di esclusione nella scuola e nella società. Le sue tecniche scolastiche e la sua denuncia restano validissime, fanno parte di quella storia della pedagogia che, da Rousseau, passando per Pestalozzi e arrivando a Maria Montessori, ha dato a tante generazioni la possibilità di riscattarsi e di tirar fuori tutte le proprie risorse.
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