La tenerezza di Rosenblum
La fotografia come testimonianza, denuncia e impegno civile. È questa l’eredità che ci ha lasciato uno dei più importanti fotografi del Novecento, Walter Rosenblum (New York, 1919-2006), al quale il Centro Culturale di Milano dedica, fino al 19 febbraio 2026 (il 23 gennaio ricorre il ventennale della morte), la mostra antologica dal titolo «Il mondo e la tenerezza» con oltre 110 fotografie, accompagnate da documenti d’epoca. La mostra è curata da Roberto Mutti e prodotta da Suazes con il patrocinio del Comune di Milano.
Rosenblum rappresenta «un punto di congiunzione tra la fotografia sociale di Lewis Hine e la nascita del reportage umanistico di Paul Strand, a sua volta in dialogo con figure come quelle di Alfred Stieglitz ed Edward Steichen, quando anche la street photography iniziava a delineare un nuovo percorso espressivo, che avrebbe influenzato profondamente le generazioni successive fino ai nostri giorni».
Da Hine, Rosenblum ha assorbito l’imperativo morale e la necessità della testimonianza. Da Strand, mentore e amico, ha appreso il valore dell’essenzialità dello sguardo, e la capacità di trasformare la realtà in racconto.
Il percorso espositivo di Milano abbraccia oltre mezzo secolo di vita e di lavoro di Rosenblum, dal 1938 al 1990, accompagnando idealmente il visitatore nei luoghi e tra le persone che hanno popolato l’universo visivo del fotografo americano: l’esperienza degli immigrati in America, nella Lower East Side di New York, la Seconda guerra mondiale, i rifugiati della guerra civile spagnola in Francia, la vita quotidiana a East Harlem, Haiti, l’Europa, le generazioni del South Bronx ancora a New York.
Sette sezioni tematiche ci riconsegnano una carriera che ha saputo raccordare, in modo organico e ragionato, tensione civile, ricerca formale e un profondo rispetto per l’umanità al centro dei suoi scatti.
Rosenblum rimarcava il fatto che la sua fotografia «era un omaggio alla persona che fotografo» e che «il senso della vita deriva dalle persone che si sono conosciute e amate». Un’attenzione quella per gli altri, che il fotografo americano, senza scivolare mai nel sentimentalismo o nella compassione, ha saputo trasfigurare in una genuina e umanissima tenerezza, come fondamento principale per il riconoscimento della dignità umana, a partire da quella degli ultimi e degli emarginati.
L’impegno civile di Rosenblum non si sottrasse nemmeno alla chiamata della Storia. Con coraggio e correndo molti rischi, il 6 giugno 1944 partecipò, come fotoreporter dell’Esercito degli Stati Uniti, allo sbarco degli Alleati sulla spiaggia di Omaha Beach, in Normandia, e poi documentò l’avanzata americana in Europa. A lui si devono anche le prime riprese del campo di concentramento di Dachau dopo la liberazione: immagini che gli valsero numerose onorificenze e il riconoscimento come «liberatore» da parte del Centro Simon Wiesenthal.
Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano, ricorda che «Rosenblum era figlio di immigrati ebrei romeni di inizio secolo, poveri e accolti. Usa la fotografia per esprimere la dignità dell’essere umano, per dare notizia dell’uomo che vive, della sua appartenenza, mai semplici vittime; un’umanità che sopravvive intatta malgrado le circostanze avverse. La fotografia li riconsegna protagonisti reali e ignoti della vita, eroi umani delle contraddizioni della convivenza».
Per questo Rosenblum resta una delle voci più limpide della grande stagione del «Photo League»: il collettivo fondato negli anni Trenta del secolo scorso da Paul Strand e Berenice Abbott. Al movimento aderirono, nel tempo, Helen Levitt, Robert Frank, Eugene Smith, Ruth Orkin, Dorothea Lange, Aaron Siskind, lo svizzero Rudy Burckhardt, Lisette Model, Fred Stein, Sid Grossman, Arthur Leipzig e Weegee. E in quel contesto si plasmarono le varie strade del reportage umanistico.
In questo gruppo il giovanissimo Rosenblum trovò la sua casa: «fu animatore instancabile, presidente del comitato espositivo e direttore di Photo Notes, fino allo scioglimento forzato del gruppo durante il periodo del maccartismo» – tra la fine degli anni Quaranta e la metà dei Cinquanta, all’inizio della Guerra fredda e delle tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica –, quando iniziò l’accanimento e la repressione contro persone, sindacati e movimenti anche solo sospettati di avere idee di sinistra.
Insieme a sua moglie, la storica della fotografia Naomi Rosenblum, ha curato mostre internazionali, tra le quali la «Lewis Hine Retrospective», contribuendo alla riscoperta di Hine che gli aveva affidato tutta la sua opera.
I lavori di Rosenblum si trovano oggi in oltre quaranta musei di tutto il mondo: dal Getty Museum al Museum of Modern Art, dalla Bibliothèque Nationale de France alla Libreria del Congresso degli Stati Uniti.
Alla professione di fotografo durata più di mezzo secolo, Rosenblum ha affiancato anche quella di insegnante: al Brooklyn College di New York, alla Yale Summer School of Art, alla Cooper Union, al Rencontre de La Photographie ad Arles, in Francia; e a San Paolo, in Brasile.