La voce di Gino

Negli attuali scenari armati manca, forte e chiara, la voce di Gino Strada, morto poco meno di un anno fa. Un uomo, un medico, che, con le sue azioni, ha sempre gridato e mostrato al mondo l’orrore di ogni guerra.
12 Aprile 2022 | di

Il clangore della guerra è fragoroso in molti modi e le voci delle armi non sono sempre quelle che fanno più rumore, specie nell’era della tecnologia digitale, dove molti strumenti di morte vengono appositamente progettati per essere silenziosi. I droni russi che sorvolano le processioni dirette al confine con la Polonia sono sinistri insetti meccanici che non emettono più che un sordo ronzio e i cacciabombardieri sulle città si sentono solo quando c’è appena il tempo del riparo. A fare lo stesso chiasso di sempre è rimasta però la macchina mediatica, il rimbombo delle notizie e delle smentite, delle demonizzazioni reciproche, delle storie strappalacrime di profughe incinte e soldati eroici e dell’opinionismo d’accatto, dove persone che fino a ieri a stento avrebbero saputo indicare il Donbass sulla cartina geografica ora danno lezioni di geopolitica nei programmi televisivi di intrattenimento.

Anche la politica è rimasta chiassosa. Putin è una figura che in questi anni è piaciuta a troppi leader italiani perché il boomerang delle sue scelte violente non tornasse rotante anche sulla loro immagine pubblica; l’imbarazzo di aver sostenuto un dittatore guerrafondaio, nel migliore dei casi, spinge a tardive prese di distanza. Nel peggiore, il più frequente, genera continui distinguo sui torti e le ragioni. In questo dissonante scenario di rumori e abnorme flusso di notizie e opinioni, riconoscere il confine tra quello che è ancora informazione e quello che è già propaganda è diventato complicato per chiunque.

È in momenti come questi che manca l’unico suono che le persone di pace avrebbero ancora voluto sentire: quello della voce roca e burbera del dottor Gino Strada. Quando è morto, alla vigilia di ferragosto dello scorso anno, le guerre per noi erano ancora lontane geograficamente e simbolicamente dall’Europa bianca e ricca. La sola urgenza di cui avevamo coscienza era la pandemia e l’unico fronte divisivo sembrava quello sulla vaccinazione con cui i governi cercavano di portare il covid dallo stadio di emergenza sanitaria a quello di patologia influenzale. Gino invece quelle guerre le vedeva e le aveva scelte come teatro operativo.

Medico chirurgo, Strada aveva una formazione giovanile comune a molti nati a metà del ’900: il cosiddetto cattocomunismo, che univa le istanze di giustizia sociale del marxismo all’opzione preferenziale per i poveri, quella espressa anche nel Magnificat. Pur essendo ateo, negli ambienti dell’associazionismo cattolico Gino aveva conosciuto Teresa Sarti, che sarebbe diventata sua moglie. Con lei avrebbe fondato la ong Emergency, un’organizzazione umanitaria non governativa con la quale medici e personale sanitario partivano da tutto il mondo per prestare soccorso chirurgico nei Paesi in guerra, specialmente ai feriti da mine antiuomo, spesso bambini. Emergency negli anni ha curato oltre sei milioni di pazienti in sedici Paesi del mondo, a comprova che la guerra, vicina o lontana che ci sembri, non ci ha mai lasciati un solo giorno.

Non ci vuole un medium per sapere che cosa avrebbe detto Gino Strada davanti ai fatti di oggi, perché sulla guerra non ha mai cambiato opinione. Ne aveva visto e curato gli orrori sugli innocenti di ogni parte in causa e questo gli bastava. «Non sono pacifista – ripeteva, e col suo carattere fumantino non potevi fare altro che dargli ragione –. Io sono contro la guerra». Sembra una precisazione da poco, ma definiva la sua posizione etica: antagonista verso tutto quello che conduceva al conflitto armato, che comincia sempre molto prima che sparino le armi. Per questa sua radicale convinzione Strada è stato un uomo scomodo per tutti i governi. Impegnato in prima persona nell’attività umanitaria, e quindi difficilmente attaccabile sul piano morale, non risparmiava critiche alle politiche militari e alle scelte di intervento Nato e italiane nei conflitti internazionali.

Che la guerra per alcuni fosse un affare – per l’Italia, uno dei maggiori esportatori di armi al mondo, di certo lo è – gli era sempre stato chiaro, ma per lui non esisteva ragion di stato politica o economica che giustificasse l’uccisione o il ferimento degli esseri umani. Per questo si espresse duramente contro l’intervento italiano in Afghanistan, dove Emergency con i suoi ospedali era testimone diretta delle conseguenze del conflitto sulla popolazione. Allora fu accusato di mantenere posizioni equidistanti tra le democrazie e i talebani, oggi gli direbbero probabilmente che chiedere di non mandare armi in Ucraina è un gesto putiniano, ma Gino Strada per tutta la vita è stato una sola cosa: un uomo per cui non esistevano guerre giuste e l’unico attacco «chirurgico» che riconosceva era quello che faceva col suo bisturi.

Quando è morto, sua figlia Cecilia era su una nave umanitaria in soccorso ai migranti che fuggivano dall’Africa verso l’Europa, spesso lasciati morire dagli stessi governi che oggi aprono le porte agli sfollati ucraini. Anche su questa gerarchia tra i sommersi e i salvabili Gino Strada avrebbe avuto qualcosa da dire se fosse vivo, ma il rimpianto per la sua assenza non deve far dimenticare che quelle cose in vita lui le ha sempre dette. Basterebbe solo ricordarsele.

 

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Data di aggiornamento: 17 Aprile 2022

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