L'olio che unge e illumina
Anche per noi frati tutte le strade portano, in un modo o nell’altro, a Padova, approdo di sant’Antonio in quella stagione del suo ministero ormai vicina all’incontro con il Signore, ma comunque ricca e feconda.
Fu amore a prima vista tra il frate italo-portoghese e la città, allora prospera ma segnata da disuguaglianze e da feroci egoismi; un attaccamento «ostinato» e reciproco quello di Antonio a Padova, che è continuato attraverso i secoli per giungere fino a noi.
No, sant’Antonio non ha mai perso di vista la sua Padova e non la perde nemmeno ora: segno plastico di questo legame è la statua bronzea di sei metri che, in vetta a un magnifico campanile, benedice la città dall’Arcella, il borgo sito storicamente a poche leghe dalle mura, dove il Santo dovette sostare ormai morente, nel giugno del 1231.
Da pochi giorni mi trovo anch’io a vivere con sette confratelli nel convento sorto proprio all’Arcella, esattamente all’ombra di questo campanile/vedetta, e come tante persone aspetto anch’io con trepidazione l’uscita dalla pandemia per poter rivivere il transito del Santo, che qui, la sera del 12 giugno di ogni anno, è «messo in scena» lungo un percorso che ricorda il fortunoso tragitto da Camposampiero a Padova, dove il Santo voleva rientrare per rendere l’anima al Signore tra i confratelli del suo convento di Santa Maria.
Sì, lo sguardo di sant’Antonio è ancora oggi dritto e fisso su Padova: non più la città contenuta nel perimetro murario duecentesco, ma quella che ormai gli è cresciuta intorno in una sequenza di trasformazioni e di sviluppi urbanistici, sociali e culturali inaspettati e non facili da integrare. Decine e decine di nazionalità diverse hanno ormai ridisegnato a fondo questo crogiuolo multietnico di religioni, culture e stili di vita che è l’Arcella, vero e proprio «laboratorio» di umanità, come lo definisce il nostro vescovo Claudio cercando di esorcizzare paure e pregiudizi che neanche qui mancano, purtroppo.
Molti, alzando gli occhi verso quella statua benedicente, forse oggi non capiscono più perché lo sguardo del Santo punti proprio in quella direzione e che cosa questo suggerisca all’attuale città (ma qualcuno, forse, ricorderà la struggente favola Il Principe felice, di Oscar Wilde, con il suo messaggio di solidarietà fattiva verso i più poveri...).
Noi frati, però, discepoli di Antonio, non smettiamo un attimo di chiederci: come possiamo offrire, oggi, con il Santo, a un popolo così variegato, una predicazione del Vangelo che «unga e renda malleabile la pelle invecchiata del peccatore»? Come possiamo portare il messaggio di Antonio al mondo?
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