06 Settembre 2021

Nostalgie di un vecchio parroco?

Un anziano sacerdote esprime il suo sconforto per come si stanno modificando gli assetti parrocchiali negli ultimi anni. E se fosse un segno per obbligare la Chiesa tutta a uscire dai sentieri consueti e reinventare nuovi modi di fare comunità?
Nostalgie di un vecchio parroco?

© Calamorlanda / Getty Images

«Caro direttore, nella mia ormai lunga vita di parroco, come tutti credo, ho visto la fede viva, trasmessa dai nonni dei parrocchiani. Ho sentito da loro quanto hanno fatto e sudato, questi nonni del passato, per costruire le nostre parrocchie. Costruire, sì, anche materialmente. Tutto si faceva con ore di sudore e lavoro gratuito, con i buoi che portavano il materiale. Ma, sopratutto, con fede. E questo è andato bene o abbastanza fino a qualche tempo fa. Ora con nostalgico rimpianto si vedono giorno per giorno disgregarsi come neve al sole queste sudate parrocchie. Non ci sono preti, è la scusa principale. Non si riesce a tener dietro a tutto, e allora si incorpora tutta la pastorale e la vita spirituale in «unità pastorali e parrocchiali», con la magra consolazione di vedere in un’unica chiesa-madre qualche fedele in più... Nelle altre parrocchie, sia pur meno numerose, una messa alla settimana – quasi sempre –, ma a orari non comodi, e tutto qui. Si ha un bel dire: “Accorpiamo il più possibile”. Ma se questo conforta, un po’, chi ne è responsabile, sta creando un’eutanasia spirituale. Facciamo celebrare tre o, se occorre, anche quattro messe ai pochi preti che ancora ci sono. Noi diamo la colpa ai vescovi, che vogliono le unità pastorali (ma non tutti), indipendentemente dal numero di sacerdoti diocesani. La gente, i fedeli hanno capito tutto questo e per soggezione tacciono col clero, ma tra loro parlano, si lamentano, soffrono e... perdono quota spirituale. Sono un lamentone?».
Lettera firmata

 


Carissimo confratello, non ho la tua stessa lunga esperienza di ministero parrocchiale, ma non stento a capire e a comprendere il tuo rammarico. La situazione difficile e preoccupante della vita delle nostre comunità cristiane è davanti a tutti. Capisco anche che, in tempo di cambiamenti radicali come quello che stiamo vivendo, ulteriormente radicalizzati dall’esperienza della pandemia, è naturale e scontato rifugiarsi nella nostalgia del «si stava meglio prima».

Mi permetto però di farmi voce di chi, per età oltre che per esperienza di fede e di vita, potrebbe ribattere che lui a quei tempi non c’era: lui è qui ora, in questo di tempo. Che sarà decaduto e senza religione fin che si vuole, ma è l’unico che abbiamo a disposizione. E se a quei tempi chi c’era cercò di dare responsabilmente e creativamente le sue risposte di fede, così come gli fu possibile e anche di più, lo stesso devono poter fare gli uomini e le donne di oggi.

Nella vita di fede non è ammesso vivere di rendita: certo, salendo sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto, ma non sottraendoci al nostro impegno. Non penso che fu tutto facile o ben riuscito allora, e non lo sarà neanche oggi. Non mi sembra però che la carenza di preti sia una scusa, ma un dato di fatto. Che per lo meno rende impraticabile una certa e, fino all’altro ieri, assodata modalità di fare pastorale parrocchiale.

Le unità pastorali sono solo un modo: è l’essere comunità cristiana che deve reinventarsi, presbiteri e laici assieme allo stesso tempo, come ha fatto e dovrà farlo in ogni epoca. Forse sarebbe ora di cambiare, anche se di preti ce ne fossero ancora molti in giro. Al di là del numero di sante Messe e del luogo dove vengono celebrate. E senza togliere assolutamente centralità al mistero eucaristico.

 

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Data di aggiornamento: 06 Settembre 2021
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