Madre Chiesa
Una casa d’accoglienza religiosa, gestita da suore italiane a Buenos Aires. Un hogar in argentino. Un’estate afosa, umida, sudaticcia. Ragazze madri, giovani adolescenti come Lu e Fati. Alcune malinconiche e timide, altre aggressive e sfrontate. Figli e figlie che non conosceranno mai il loro padre. Suore anziane, di provata pazienza e acuto discernimento. Suore giovani, come suor Paola, appena arrivata dall’Italia. Religiose che sono molto più belle senza velo, liete della loro vocazione e assieme frementi di un bollente istinto genitoriale, accudente, tenero, carnale. Suore che si tengono a distanza, preoccupate delle regole conventuali. Altre che empatizzano con i vissuti materni delle povere ospiti. Suore che carezzano, toccano e abbracciano. Religiose che si sentono sorelle di donne meno fortunate e ne intuiscono la passione erotica, la voglia di godere e far godere pur correndo il rischio di scivolare nella folle, febbrile storia con un partner abusante. La composta preghiera delle Ore si intreccia con la sfacciata musica che le ospiti ballano.
Il film Maternal (Italia/Argentina 2019) accosta mondi diseguali. Austerità e sensualità. Corpi angelici e ventri che si gonfiano. Pelli immacolate e tatuaggi, unghie coloratissime, trucchi pesanti sugli occhi, gambe depilate con uno scotch casuale. Nei corridoi della casa le statue dei santi vegliano su carrozzine e giochi infantili. Sotto il crocefisso murario ci sono tricicli, bambole, soldatini, fotografie. I bambini si prendono cura dei genitori. Rimproverano la mamma con lo sguardo. La avvicinano e la coccolano per proteggerla. Per farla sognare ancora e aiutarla a ricostruirsi una vita. Lupi e volpi hanno tane, ma io, così piccola e la mamma e il fratellino, e forse – se torna – anche papà, dove prenderemo dimora?
Di che cosa parla il film? Di fallimenti familiari? Di un’iniziativa religiosa caritatevole? Anche, ma non solo. Questi film parlano del miracolo di una nuova Chiesa, che finalmente sia madre. Qualcuno nasce, in luoghi improbabili, in condizioni difficili, ed è un salvatore, che ci libera già ora dal male della solitudine. E, se viene rifiutato, trova ad accoglierlo una comunità ecclesiale giovane e vitale. Questa è la Chiesa. Questa è la parabola di un Regno immaginato come una festosa comunità di suore e di donne che tengono sulle ginocchia bambini chiassosi e vitali. Lo spettatore può promettere fedeltà a questa vita, a questo stupore per la nascita (un sentimento che la filosofia e la teologia al maschile non conoscono), oppure può uscire dalla sala di proiezione, sospettare dell’amore, costruirsi una cella monacale pulita ma sterile, silenziosa ma narcisista, incensata ma mortifera.
La buona notizia invece è qui, nel fotogramma di una vergine promessa che vorrebbe allattare al seno il figlio non desiderato. Maternal è diretto da una documentarista, che non fa teorie, ma esplora l’epifania della vita. Ci sono ragazze impreparate alla maternità e religiose che per voto la escludono. Eppure sono tutte madri in forme diverse e si istruiscono e aiutano in una rete di solidarietà, di intesa sofferta e coraggiosa, per proteggere i bambini e rimediare all’assenza paterna. Gli ospiti dell’hogar rompono i divieti e transitano giorno e notte lungo i corridoi che delimitano spazi sacri e spazi profani. La badessa ha un’intuizione geniale: giudica suor Paola matura per i voti perpetui proprio quando la vede prendere in braccio una bambina come se lei fosse la vera madre. Morale: se non sei pronta ad adottare un bambino, non puoi prometterti a Dio. Dio è un bambino. Dio è quel bambino.
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