07 Ottobre 2020

Mani, talenti di Dio

Da ragazzino problematico dominato dalla rabbia e dalla frustrazione a brillante neurochirurgo che mette il paziente prima di tutto: è l’evoluzione del protagonista di «The Gifted Hands – Il dono» (USA 2009).
Mani, talenti di Dio

L’inglese gift sta per dono, regalo, talento. Gifted hands sono mani dotati di un’abilità speciale, mani miracolose. Come quelle del dr. Ben Carson (nella realtà Benjamin Solomon Carson Sr., classe 1951), il brillante neurochirurgo protagonista del film The Gifted Hands – Il dono. Ma che cosa si nasconde dietro la sua perizia? Da dove viene un tipo così? Il piccolo Benjamin e suo fratello Curtis vivono nella Detroit degli anni ‘60 una condizione di sofferenza psicologica (la figura paterna è assente, per un divorzio: lui tradiva la moglie e spacciava droga) e sociale (Ben e Curtis sono ragazzi di colore emigrati da Boston in una città ove sono ancora altissime le discriminazioni razziali). Ben è distratto a scuola, deriso in classe, aggressivo con i compagni, svogliato in casa. La tentazione di ritirarsi nel ghetto della devianza e nella rassegnazione rabbiosa viene vinta dalla dura, ma educativa, reazione della mamma Sonya: «Ora basta! Studiare è il vostro compito!».

La capacità parentale di «dire no» ai propri figli e l’autorevolezza femminile conquistata a prezzo di una lotta faticosa (la mamma è analfabeta e si rivolge a servizi psichiatrici per i propri disturbi dell’umore), innescano in Ben un’istanza riparativa. Aver cura di sé è come aver cura della mamma. Si tratta di riscattare un’ingiustizia socio-culturale e difendere la dignità di una famiglia. I risultati non si fanno attendere. Ben impara a sublimare la sua aggressività. Il gruppo dei coetanei invita Ben a condividere riti e simboli di gruppo. Il mondo può essere ostile – dicono – e ci si deve preparare a una difesa. Ben acquista un coltellino a serramanico.

Ma un giorno accade l’imprevisto. In un banale scontro con un compagno, Ben lo colpisce al ventre e fortunosamente la lama si rompe, picchiando contro la fibbia della cintura. Ben corre a casa, chiede perdono a Dio: «Signore devi togliermi tutta questa rabbia!» e recita un salmo biblico. È l’inizio di una conversione morale. Quel coltello diventerà un bisturi. Le correnti selvagge dell’istinto agonistico vengono finalizzate alla pratica chirurgica. In reparto ci si confronta con il dolore, le ferite, le invocazioni d’aiuto, le proteste contro la sorte. Ma la professione è anche promessa d’alleanza, impegno d’aggiornamento, tenacia nell’intervento, comunicazione empatica. Il coltello e il libro, l’addestramento operatorio e la ricerca di nuove soluzioni tecniche, la forza fisica e la curiosità scientifica sono le due dimensioni della gifted hand, di quella mano ferma, cui pazienti di tutto il mondo ricorrono.   

Così Ben Carson viene chiamato nel 1987 a Ulm, nella Germania dell’Ovest, per incontrare i genitori di due gemelli siamesi, di 3 mesi di vita, uniti nella parte posteriore del cranio (in gergo: craniopago occipitale). Il loro tremendo destino sarebbe quello di passare il resto della loro vita a letto, distesi sulla schiena. Papà e mamma sperano nell’intervento cui danno pieno consenso: «Dottore, non ci chieda di scegliere uno dei due nostri figli!». Ma i rischi operatori sono altissimi a causa del dissanguamento. Non si era mai riusciti a salvare entrambi i bambini dopo l’intervento di separazione. E il coinvolgimento umano del chirurgo è estremo, poiché sua moglie Candy ha perso proprio due gemelli durante il parto. Il medico si prende un lungo tempo di riflessione, studia la letteratura scientifica, coinvolge diverse equipe specialistiche e poi organizza e attua nel 1987 con successo il primo intervento del genere: ventidue ore di anestesia, settanta operatori chirurgici impegnati. Risultato: i due piccoli sono salvi!

Il protagonista incarna un’etica ippocratica impegnata a promuovere il maggior interesse dei pazienti, prima di inseguire obiettivi di carriera, profitti economici, notorietà mediatica, regole burocratiche. Non c’è presunzione prometeica, né superbia antireligiosa. Il punto è che la natura biofisica è imperfetta ed è compito dell’uomo correggerla e amministrarla nel modo più ragionevole, consentendo che il bene fiorisca e facendo in modo che i difetti vengano rimediati e prevenuti. Il credente cristiano non idolatra il dato biologico e non scambia le leggi di Dio con i fenomeni fisiopatologici.

Il film, che include nella colonna sonora famosi brani di musica classica, difende una teologia del sensibile: gli affetti non accecano la ragione, anzi la sollecitano; la fede non coarta l’immaginazione, anzi l’accende; il cristiano sa che, per vedere e comprendere la verità, occorre credere nella buona notizia, che il Signore del mondo si è chinato su di noi e ci ha liberati e portati come su ali d’aquila.

 

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Data di aggiornamento: 07 Ottobre 2020
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