Siamo tutti naufraghi
Il mondo moderno si è scoperto improvvisamente messo in ginocchio da un virus che gli sta dando problemi identici a quelli che avrebbe dato a una civiltà pre-tecnologica. Ci sarà tempo per farci domande sull’origine reale della pandemia, su quanto vi abbiano influito le nostre abitudini alimentari e produttive, la distruzione di quella biodiversità che forse poteva proteggerci dalla violenza di un organismo solo e la mutazione delle condizioni climatiche che favorisce l’insorgenza di fenomeni mai visti prima.
Ma le settimane che stiamo vivendo sono un tempo di sopravvivenza e resistenza, dove le domande, per quanto importanti, possono ancora aspettare: prima vengono le vite dei malati, la messa in sicurezza dei sani e i tentativi per impedire che il virus dilaghi, mettendo in ginocchio sistemi sanitari impoveriti da anni di tagli. Noi siamo tornati cittadini bambini, in mano alle decisioni del governo padre. Chiusi in casa, timorosi di incrociare il passo sul marciapiede, nelle file per il cibo misuriamo con gli occhi le distanze tra noi e gli altri e nelle paure più irrazionali ci scopriamo creature basilari quanto quella che ci attacca.
Il distanziamento sociale che ci è stato chiesto ha una durata imprecisata, ma quando terminerà solo gli illusi credono che la normalità a cui torneremo sarà la stessa che abbiamo lasciato. Ci sono state chieste cose che non eravamo più abituati a fare insieme. Essere responsabili e pazienti non sembrava più cosa per tutti, prima che ci venisse domandato di stare lontani tra di noi per stare vicini alla medesima idea di comunità. A chi era forte è stato chiesto di diventare custode di chi era fragile. A chi era giovane di mettere la sua invincibilità a servizio della debolezza degli anziani. A chi aveva studiato da medico è stato chiesto di esserlo nel modo più estremo possibile, mettendo a rischio la vita propria e dei propri cari. In questo tempo di mezzo a gettare le basi del post pandemia saranno le scelte e le intuizioni di chi sta cercando modi per ricostruire e nutrire i legami sociali che negli ultimi anni sembravano saltati.
A fare la differenza in questi mesi sono e saranno le decine di persone che stanno rispettando silenziosamente le regole, le centinaia di migliaia che non sono rientrate quando le zone rosse sono state chiuse e quelle che non sono partite per le seconde case, rifiutandosi di veicolare il virus ad altri nell’illusione di mettersi in salvo. A salvarci in questi mesi saranno i ragazzi che mettono agli ingressi dei palazzi i cartelli: «Se ci sono persone anziane, noi siamo a disposizione per fare loro la spesa». Saranno i chimici e i farmacisti che hanno prodotto e distribuito l’antibatterico gratis per non lasciare nessuno senza le protezioni di base. Saranno le reti wi-fi che sono state aperte per permettere anche a chi è troppo povero per avere una connessione domestica di stare in contatto con chi è lontano.
Ci salveranno gli artisti che, nella disperazione di un’intera stagione di lavoro cancellata, si sono però messi in rete per portare musica, teatro, letteratura e umanità nelle case di un’Italia attonita e ferita, divisa tra il fatalismo anarchico e creativo di sempre e l’opportunità di dimostrarsi coesa e disciplinata per un bene maggiore. Ci salveranno gli psicologi che stanno supportando i medici in prima linea, esposti senza i mezzi necessari, impauriti di essere veicolo di contagio per chi amano e ormai da settimane dimentichi di ogni specializzazione diversa dall’infettivologia. Ci salveranno i disegnatori per l’infanzia, che hanno messo in rete fumetti delicati e chiari per spiegare ai bambini che cosa sta succedendo, perché non diventi un trauma ma una storia che potranno raccontare. Ci salveranno, più di tutto, i politici responsabili che non hanno minimizzato le evidenze in nome dell’economia e si sono presi il peso di decisioni difficili e impopolari, mostrando a tutta l’Europa che per l’Italia salvare le vite umane viene prima del Pil.
Ammalarci della peggiore influenza del secolo ci sta causando enormi danni, ma è un’esperienza che porta in sé l’opportunità di guarire dall’individualismo che in questi anni ci ha fatto guardare a ogni disperato, ogni bisognoso, ogni naufrago della storia come a un nemico da cui difenderci. Ora siamo tutti naufraghi. Per questo non ci sono eroi solitari a questo giro di giostra, ma migliaia di mani che hanno scoperto di essere ancora capaci di tendersi, persino quando non possono sfiorarsi.
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