03 Agosto 2021

Mario De Biasi. Un inno alla vita

La Casa dei Tre Oci di Venezia dedica un’ampia retrospettiva, con molti scatti inediti, a uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento.
Gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin alla mensa della NASA, Houston (1969).
Gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin alla mensa della NASA, a Houston nel 1969 (particolare).
© Archivio Mario De Biasi / Courtesy Admira, Milano

Ogni fotografo custodisce gelosamente un proprio segreto. Dietro uno scatto memorabile, con cui spesso viene scritta una pagina di storia, non c’è solo la tecnica, ma anche il talento, l’audacia, la temerarietà, il colpo d’occhio, l’intuito, la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Tutto questo fa la grandezza e l’originalità di un fotografo. Poi ognuno ha un piccolo personale segreto, coltivato e affinato, che fa la differenza. E in quanto segreto, resta tale. Forse possiamo coglierne la dimensione estetica, la composizione dirompente, lo slancio provocatorio, ma rimane pur sempre un quid nascosto e misterioso che, a un certo punto, si slega anche dal fotografo per fondersi con l’irripetibile istantanea del mondo, filtrata dal suo sguardo visionario.

Per questo c’è molto di reale e qualcosa di leggendario nel modo in cui Mario De Biasi, bellunese di Sois, destinato a diventare un radiotecnico, si avvicina alla fotografia. Nel 1944, durante la Seconda guerra mondiale, finisce in Germania. Tra le macerie di Norimberga, devastata dai bombardamenti degli alleati, recupera un manuale di fotografia. È la prima svolta. Tornato a Milano, dove si era trasferito fin dal 1938 dopo essere rimasto orfano a 10 anni, continua a fotografare da amatore e autodidatta. La seconda svolta, quella decisiva, arriva nel 1953, quando, dopo essersi fatto apprezzare e aver vinto numerosi premi, viene assunto dal periodico «Epoca». È il posto giusto per dare libero sfogo al suo talento e alla sua instancabile ricerca. La vocazione del giornale, che sarà diretto anche da Enzo Biagi, è proprio quella di privilegiare l’immagine per raccontare l’attualità. La televisione è ancora agli albori.

Dentro la Storia

De Biasi non si limita a scattare foto, ma entra con le scarpe e con l’obiettivo nella Storia in divenire, ne è protagonista mentre i fatti accadono e si evolvono, ne subisce le conseguenze che toccano i personaggi che la plasmano. Tanto che non si accorge nemmeno del freddo della Siberia che lo sta congelando, o delle pallottole che gli fischiano intorno mentre l’esercito spara contro i manifestanti a Budapest, in Ungheria. È sempre rapito, coinvolto da ciò che vive e che vede, e che nell’attimo fuggente, nel momento in cui qualcosa accade, lui fissa per sempre sulla pellicola riuscendo a compendiare il messaggio e lo sfondo di cui l’azione si nutre.

La Casa dei Tre Oci di Venezia, con il direttore artistico Denis Curti, gli dedica la mostra retrospettiva, curata da Enrica Viganò, dal titolo «Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003», in collaborazione con l’Archivio Mario De Biasi, organizzata da Civita Tre Venezie con Admira, e promossa dalla Fondazione di Venezia. L’esposizione racconta il mondo del fotografo bellunese seguendone il profilo in dieci aree tematiche. Probabilmente la più intrigante è «Gli italiani si voltano» laddove, adottando l’approccio del neorealismo teorizzato da Cesare Zavattini, esplora gli irriverenti comportamenti degli italiani seguendo con il suo obiettivo un’ancora sconosciuta Moira Orfei che passeggia in centro a Milano destando l’apprezzamento generale.

Sono i formidabili anni Cinquanta, e l’Italia si sta risollevando dai lutti e dalle macerie dell’ultima guerra. È un tassello della storia di un Paese, in gran parte analfabeta, dove la periferia, le aree rurali e remote conservano ancora usi, costumi e tradizioni secolari che la rapida industrializzazione, con le massicce migrazioni verso le città e gli altri Paesi del mondo, rischia di annichilire per sempre, ma che la fotografia cristallizza in modo tempestivo e indelebile. Nel 1954 De Biasi arriva in transatlantico a New York per raccontare la «Crociera della Moda» a bordo della Cristoforo Colombo. Ma invece di tornare con la nave, preferisce capitalizzare le impressioni vissute nella «Grande Mela», e prima di rientrare in Italia in aereo, a sue spese, si cimenta in una personale mappatura simbolica della città, ritraendone volti, strade, auto, edifici, scorci di vita sociale in un caleidoscopio antropologico che culmina con uno scoop clamoroso, quando ottiene la possibilità di effettuare un servizio fotografico sull'armatore miliardario Aristotele Onassis. Due anni dopo è a Budapest, per «Epoca», a documentare la Rivoluzione ungherese antisovietica. Lui, per tutti, è l’«italiano pazzo» che segue gli insorti e l’umanità ai margini di una tragedia annunciata sebbene sia stato ferito alla spalla da una pallottola. La vita oltrecortina dell’URSS diventa l’occasione per indagare i retroscena della propaganda comunista. Fino a giungere nella remota Siberia con l’amico alpinista Walter Bonatti che gli salva un orecchio in procinto di staccarsi a una temperatura esterna di 65 gradi sotto zero. È il 1969 a consacrare De Biasi con l’«Operazione Luna» in occasione dell’impresa dell’Apollo 11 che porta i primi astronauti sul suolo lunare. Una missione raccontata con uno sforzo produttivo e logistico impressionante per un periodico italiano, e di cui il nostro fotografo diventa il testimone d’eccellenza. 

Una ricerca costante

Ciò che caratterizza l’inclinazione naturale di De Biasi per la fotografia è la sua costante propensione a cercare fatti e personaggi minori, investendo ogni attimo delle sue sessioni fotografiche ben al di là del tema oggetto del suo reportage. Ed è questo universo ad alimentare, ancor più dei suoi celebri servizi giornalistici e delle sue copertine, un’immaginaria galleria etnografica che lo rende uno dei più celebrati fotografi del Novecento. De Biasi non disdegna nemmeno il glamour. Le celebrità del cinema, del teatro e della musica non passano inosservate nei suoi scatti. Ecco allora che la cantante lirica Maria Callas o il regista Nicholas Ray o il direttore d’orchestra Arturo Toscanini vengono colti nella loro umanità quotidiana, deprivati dell’aura divistica.

De Biasi ha reso protagonisti, nella loro evoluzione storica e sociale, quegli italiani che oggi possiamo riscoprire nelle sue storiche foto, ma, attraverso i suoi reportage all'estero, ha concorso alla loro formazione culturale e politica, guidandoli a scoprire il mondo con le sue contraddizioni e le sue miserie; li ha educati, in anticipo sui tempi, alla globalizzazione ancor prima che questa divenisse un tema sociologico. Non solo. Lo sguardo di De Biasi ritorna sempre alla sua primitiva matrice bellunese, al contatto con la natura, alla bellezza del Creato che egli esalta e difende leggendovi un intreccio continuo di simboli e geometrie, con un gusto spiccato per i dettagli e l’armonia delle forme. Com’egli stesso ha dichiarato: «Dovunque s’incontra la vita, s’incontra la bellezza. Basta guardarsi attorno per vederla: anche in una foglia, in un sasso, in un balcone fiorito. Anche nei riflessi in una pozzanghera». Una sensibilità, la sua, da poeta dell’immagine che si riflette nella sua eclettica attività di disegnatore, e di cultore dell’arte e della pittura.


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Data di aggiornamento: 03 Agosto 2021
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