Marta e la bottega dei ricordi
Abilità, competenze e passione: sono questi gli elementi che hanno consentito alla 53enne perugina Marta Cucchia di portare avanti una tradizione di bottega tessile al femminile, lunga tre generazioni. Maestra tessitrice di fama internazionale, Marta coltiva la memoria di una professione storica, custodendo i segreti tramandati dalla bisnonna Giuditta Brozzetti, ma aggiungendo quel tocco di innovazione che non guasta.
Tra gli obiettivi che l’artista-artigiana si è prefissata c’è quello di tutelare un’arte legata al territorio. Ma vi è anche un aspetto più intimo e personale, un desiderio di non far calare l’oblio sulla bellezza della tessitura a mano. Per questo Marta Cucchia ha creato un museo-laboratorio aperto a tutti, proprio come avrebbe desiderato la bisnonna. La sua bottega artigianale nel centro di Perugia è infatti al contempo testimonianza di un passato irripetibile, tesoro di famiglia e fucina di futuro. Intitolato alla bisnonna Giuditta, l’atelier conserva imponenti telai settecenteschi e ottocenteschi ancora funzionanti, esposti oggi nella cornice unica dell’ex chiesa di San Francesco delle Donne (il luogo era stato adibito a fabbrica fin dai primi dell’Ottocento).
Ma è la figura femminile a essere da sempre la vera protagonista di questo mondo: dopo l’apertura del primo laboratorio, Giuditta divenne infatti un personaggio di spicco dell’imprenditoria in rosa perugina di inizio Novecento. «La mia bisnonna recuperò motivi e disegni tradizionali, fondando, nel 1921, il laboratorio-scuola, dove produceva tessuti artistici di alta qualità – racconta Marta –. Già la storia della tessitura in Umbria ha profonde radici, tanto che le tovaglie da altare perugine comparivano nei dipinti di Simone Martini, Pietro Lorenzetti, Giotto, il Ghirlandaio e Leonardo da Vinci. Ma per me è soprattutto una vocazione che si è aggiunta ai miei studi accademici».
Ogni giorno, Marta lavora con estrema attenzione sui suoi telai a jacquard, strumenti che offrono la possibilità di eseguire disegni più articolati e ornamenti complessi, ma accoglie con gioia anche i visitatori, ai quali racconta aneddoti carichi di passione e ricordi d’infanzia racchiusi tra le trame dei suoi tessuti ricamati. «La ricerca sulle antiche lavorazioni mi ha portato al restauro di un telaio originale del XVII secolo, grazie al quale è stato possibile recuperare una tecnica di cui si era persa memoria, ovvero la tessitura detta “Fiamma di Perugia” per la particolare forma che fino agli anni Cinquanta decorava i tessuti più ricercati e pregiati d’Italia».
Un sogno in eredità
Nonostante l’arte tessile sia quasi del tutto prerogativa del mondo femminile, è indubbio che gli stereotipi culturali associno la figura del maestro artigiano a quella di un uomo, magari un vecchio artista che insieme alla sua arte regala il fascino dei capelli bianchi. Dotata di stile e grande personalità, Marta è al contrario una tessitrice all’avanguardia, dotata di una spiccata curiosità che l’ha spinta verso la ricerca delle ultime novità della moda tessile. «Quando la mia bisnonna aprì il laboratorio, creò un primo disegno chiamato trina – spiega Cucchia –. Conservo ancora un antico centro tavola a cui sono molto legata, che presenta proprio questo decoro base, oggi utilizzato per runner, tende e tovagliati. Quel disegno contraddistingue la sua e la mia passione. A lei devo il mio lavoro di oggi e il mio sogno nel cassetto».
Anche Giuditta era una donna molto determinata e possedeva la stessa indole della pronipote: da direttrice di scuole elementari, scelse infatti di portare avanti i suoi sogni di gioventù nel difficile periodo della Prima guerra mondiale, quando gli uomini erano tutti al fronte e le donne dovevano rimboccarsi le maniche da sole. «La bisnonna raccolse le testimonianze delle contadine che conoscevano le antiche tecniche di ricamo della biancheria per la casa, un lavoro che a quel tempo veniva tramandato di madre in figlia. Insieme ad altre donne che avevano il suo stesso obiettivo, scoprì che nelle campagne umbre, a causa della grande miseria, si realizzava manualmente tutto ciò che serviva al fabbisogno domestico. Fu così che colse l’arte dalle loro mani».
Ricami al femminile
Contemporaneamente alle sue entusiasmanti incursioni nella campagna perugina, Giuditta effettuò anche un’enorme ricerca iconografica sulle immagini da utilizzare: «Se trovava un decoro che potesse ispirarla, non perdeva tempo e lo ricopiava con precisione su un taccuino», continua Marta. In seguito, ogni donna della famiglia ha impresso il suo personale «marchio di fabbrica». Così, dopo la bisnonna, sua figlia Eleonora lanciò negli anni Cinquanta una collezione d’abiti di successo. In seguito, Clara, la mamma di Marta, grande appassionata di storia dell’arte, è riuscita a compiere i primi passi innovativi con una puntuale ricerca di tessuti dal Medioevo a oggi. «Ciascuna di noi ha una diversa personalità che traspare in questa forma d’arte, e ciascuna ha pertanto saputo caratterizzare la produzione in base al proprio gusto. Mia nonna Eleonora, per esempio, era una donna molto carismatica e grazie a quel carisma creò la sua linea di abbigliamento; mia madre, invece, amava applicare la storia alle creazioni».
«Io – confida ancora Marta – avevo invece studiato a Milano architettura d’interni e all’inizio immaginavo per me una carriera completamente diversa». Poi, complice un’estate in cui la mamma Clara era in procinto di chiudere il laboratorio di famiglia, Marta decise di prenderne le redini: «Capii che nessuno in famiglia era in grado di manovrare un telaio, così pensai che fosse giusto imparare a tessere. Fu così che mi innamorai di questo mestiere, perché il poter vedere nascere e crescere ogni giorno le tue creazioni, il poter sperimentare è qualcosa di veramente meraviglioso».
La navata dei ricordi
Così, dopo tante donne già ottime imprenditrici, adesso è Marta l’ultima a sedersi di fronte al telaio, muovendo leve, navette e pettini con gesti così naturali come se fossero una finestra aperta sui suoi ricordi d’infanzia. «Nel 1993 ho rilevato l’attività di famiglia e dopo quattro anni sono riuscita a spostare il laboratorio nella meravigliosa chiesa di San Francesco delle Donne, antico monastero di monache benedettine, costruito nel 1212, un luogo vivo e animato – narra Marta –. Oggi, lungo quella che era la navata principale ci sono ben sette telai risalenti al 1836. Il mio è sicuramente un lavoro molto faticoso, ma non c’è dubbio che ne valga la pena».
I passi nel mondo dell’artigianato sono oggi tutti in salita, soprattutto quando si tratta di portare avanti un’attività legata alle tradizioni locali, senza voler perdere i valori di un’eredità tramandata. «Serve grande determinazione e una testardaggine infinita – conclude Marta Cucchia –. Per me è come un filo che mi tiene legata alla mia terra e ai miei ricordi. Inoltre, la tradizione della tessitura fa parte della cultura italiana: perdere questa realtà equivarrebbe a perdere un pezzo di noi. Ma quando sono seduta al telaio sono davvero felice, perché con la mia fantasia posso liberare anche la mia storia».
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