Mediterraneo sotto pressione
Il Mediterraneo, culla di civiltà e ponte tra continenti, oggi è uno degli ambienti naturali più fragili del pianeta. A raccontarne le trasformazioni profonde è «Hotspot Mediterraneo», la prima grande mostra multimediale italiana, allestita fino al 1° febbraio 2026 all’Eco-museo del mare di Palermo, dedicata agli effetti del cambiamento climatico sul «Mare Nostrum», appellativo latino attribuito al Mediterraneo dagli antichi romani.
Ideata dal fotografo e documentarista Francesco Bellina, e dal giornalista ambientale e scrittore Stefano Liberti, la mostra, come un medico al capezzale di un paziente, ci restituisce, attraverso 43 fotografie, integrate da contributi audiovisivi, la diagnosi di un mare malato, sempre più caldo, impoverito e instabile.
Il Mediterraneo si riscalda a una velocità superiore alla media globale. Le temperature in aumento favoriscono la cosiddetta «tropicalizzazione»: specie marine provenienti dal Mar Rosso e dall’Oceano Indiano, come il pesce leone orientale (o pesce scorpione orientale) e il pesce palla maculato, passando attraverso il Canale di Suez hanno invaso e colonizzato il Mediterraneo alterandone l’ecosistema.
In molti casi le specie aliene, in particolare, non hanno predatori naturali, e dunque diventano dominanti arrivando a competere con la fauna autoctona, che talvolta diventa essa stessa loro preda. Così si riduce la biodiversità e viene compromesso anche il popolamento da parte di specie storicamente legate alla pesca nel Mediterraneo.
Queste trasformazioni hanno una ricaduta diretta sul presente e sul futuro di coloro che vivono e lavorano sulle coste dei Paesi affacciati sul Mediterraneo dal quale, per generazioni, hanno sempre potuto trarre sostentamento. Il cambiamento climatico ha riflessi diretti anche sulla sfera economica e sociale. La prima tangibile conseguenza è la crisi della pesca. Il calo degli stock ittici e la presenza di specie non commerciabili riducono infatti il reddito dei pescatori, sia sulle coste italiane sia su quelle del Nord Africa.
Le foto di Bellina evidenziano un mare che cambia volto, mentre i testi di Liberti ne spiegano le conseguenze sociali. Le praterie di posidonia, che sono alla base dell’ossigenazione delle acque e della protezione delle coste, stanno arretrando. Le barriere naturali vanno indebolendosi mentre il fenomeno erosivo delle coste sta colpendo duramente soprattutto quelle italiane, dalla Sicilia all’Adriatico.
L’innalzamento del livello del mare minaccia isole e zone basse dove intere comunità rischiano di scomparire. A Gabès, in Tunisia, il degrado ambientale e la perdita di lavoro spingono molti abitanti delle isole Kerkennah, un arcipelago situato al largo di Sfax, sulla costa orientale del Paese (ad appena 120 chilometri dall’isola italiana di Lampedusa), a diventare migranti climatici verso l’Europa.
Il Mediterraneo, che da millenni è uno spazio aperto agli scambi commerciali e culturali, sta diventando un bacino di disuguaglianze, dagli esiti oggi difficilmente prevedibili.
La mostra non si limita alla denuncia. Propone anche storie di resistenza e possibili soluzioni. Nell’Egeo orientale, per esempio, l’Ong Archipelagos fondata da un ex capitano di petroliere, oggi monitora e tutela l’Egeo orientale dimostrando come la ricerca scientifica e il coinvolgimento delle comunità locali possano segnare un punto di svolta. In Spagna, nella regione di Murcia, il Mar Menor – la più grande laguna salata d’Europa – è un caso emblematico di come la mobilitazione popolare abbia portato al riconoscimento della personalità giuridica di un ecosistema collassato in seguito all’inquinamento da fertilizzanti usati nelle coltivazioni agricole intensive dell’entroterra. In questo caso, paradossalmente, è stato un disastro ambientale ad aprire nuove strade per la sua protezione.
Per curare il Mediterraneo occorre una gestione sostenibile della pesca, la creazione di aree marine protette, la riduzione dell’inquinamento e l’adozione di politiche climatiche condivise tra i Paesi che si affacciano sul suo bacino. Ma, soprattutto, come sottolineano Bellina e Liberti, è necessario recuperare un senso di appartenenza comune: il Mediterraneo come sistema unico, interconnesso, la cui sopravvivenza riguarda tutti.
La mostra «Hotspot Mediterraneo» di Palermo sollecita i visitatori a guardare il mare non come uno sfondo paesaggistico immutabile, ma come un organismo vivo e vulnerabile. Un mare che cambia e che chiede, con urgenza, nuove e più evolute responsabilità. Lo dobbiamo, prima che a noi stessi, a chi verrà dopo di noi.