Nelle difficoltà non siamo soli
Siamo circondati da cose che non si lasciano cambiare. Ci mettiamo intelligenza, energie, preghiere, fede, disperazione. Le giriamo e le rigiriamo. Bisogna riuscire a non pensarci di notte, perché diventano granito, acciaio, blocchi di cemento con l’armatura dentro, oppure mostri, bile, nerissima rabbia e rancore oppure dolore, dolore, dolore. Ci sono cose che sono ribelli all’intensità del nostro desiderio, alle energie con cui le affrontiamo, e anche ribelli al nostro amore. Semplicemente stanno. Esistono. È il limite, la realtà come limite, insuperabile essere delle cose.
Piccolo elenco senza pretese di completezza: la malattia o l’invalidità che non si può guarire; l’incapacità personale che persiste invincibile, non riusciamo proprio a essere diversi (meno servili, meno disposti al compromesso, meno pieni di paura); le scelte politiche di chi ci circonda (come si fa a prendersela, davvero davvero, con i poveri, con chi non ha niente, è solo nato dalla parte sbagliata del mondo o nella famiglia più infelice e inadeguata); le scelte dei figli (incomprensibili, il mondo rovesciato, letteralmente, eppure li abbiamo amati da sempre, gli occhi aperti, il cuore immenso. Ma fanno quello che non abbiamo mai nemmeno immaginato); il comportamento dei parenti (vicini per sangue e affinità, una lunga storia comune, eppure). Cose che non possono nemmeno essere condivise. Dolori segreti che il solo nominare renderebbe più pericolosi e tremendi. Non c’è proporzione tra i nostri buoni sforzi e il risultato.
Come si fa? I Vangeli riportano un numero circoscritto di miracoli di Gesù, alcuni dei quali riguardano situazioni «insuperabili». I lebbrosi, ad esempio, verso i quali Gesù è attento in modo particolare. Che vita avevano? Non solo malati, ma anche a priori condannati sul piano spirituale in quanto la loro condizione era attribuita al peccato. Quante volte anche noi viaggiamo con questo pregiudizio addosso: in fondo quel che ti capita te lo sei voluto, te lo sei procurato. Ci sono anche proverbi piuttosto tremendi sul tema: «Male che tole, non dole», si dice in veneto. Non ci si può lagnare del male che ci siamo procurati. Crudelissimo, come se la nostra comune umanità vivesse una sospensione davanti all’errore con cui a volte ci mettiamo in difficoltà.
Comunque, per qualche decina di persone che nei vangeli sono state guarite o che hanno visto risolto il proprio dolore, nella folla di chi lo seguiva c’erano quelli che nel frattempo continuavano a essere malati, storpi, nel dolore, che hanno perso figli, mogli e mariti. Tre anni di predicazione, migliaia di persone incontrate. Non si può certo pensare, semplicemente perché non sta scritto e non possiamo inventarcelo, che nessuno di loro fosse nel dolore. E non si può nemmeno pensare che tutti seguissero Gesù solo perché speravano nel miracolo. I vangeli ci raccontano che le persone seguivano Gesù e che a partire dall’incontro con lui la loro vita cambiava. Non a partire dal miracolo della guarigione. Chi riceve il miracolo il più delle volte nel Vangelo viene restituito alla propria vita.
E allora che cosa fare di fronte alle invincibili situazioni in cui ci troviamo? Piccole sentinelle impettite, ma non sedute ai primi banchi delle chiese, piccole sentinelle di nascostissimo vigilare, ma non da soli. Mai soli. È questo il cuore immenso della fede. A partire dall’incontro con Gesù, siamo per sempre in due, almeno in due. Perché l’inatteso, il mistero della totale oscurità Gesù lo ha vissuto come noi, anche rispetto a quella vicinanza unica che è l’esser figli del Padre nostro dei cieli. E quindi, qui stiamo, piccole sentinelle e l’arrivo della luce non ci coglierà addormentate né sole.
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