Non solo poesia
La figura di Francesco d’Assisi è apprezzata da tante persone e sotto molteplici aspetti: soprattutto a partire dallo sviluppo di una maggior attenzione ai temi dell’ecologia, della pace e della fratellanza – messi in crisi dall’inquinamento globale, dai conflitti, anche con motivazioni religiose – si è colto in lui l’esempio di un’umanità in armonia con tutto il Creato, capace di chiamare fratelli e sorelle gli elementi naturali, gli animali e gli altri uomini e donne. Anche per questo è Patrono d’Italia e degli ecologisti, di chi si prende a cuore la vita della società e la casa comune.
Tuttavia, per Francesco, né la pace sociale, né la cura ambientale sono il vero scopo della vita: il centro della sua esistenza è invece la relazione con Dio. Della sua esperienza ci parla Francesco stesso nel Testamento: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo» (Fonti Francescane n. 110).
Con semplici parole, l’Assisiate richiama quanto gli è accaduto, come Dio si è fatto presente nella sua vita «conducendolo» a toccare ciò che gli faceva ribrezzo, facendolo uscire da quell’orizzonte, troppo angusto, in cui il lebbroso era l’emarginato intoccabile, costretto a stare al di fuori della società. Nel prendersi cura di chi, anche solo a guardarlo, gli dava amarezza, Francesco inizia a gustare un nuovo sapore, una dolcezza non proveniente dalla sensibilità fisica (la lebbra continua a disgustare) o da una soddisfazione psicologico-sociale (non risolve l’emarginazione dei lebbrosi): è un’esperienza spirituale, che gli tocca il cuore, che lo rende capace di misericordia e che cambia il modo di «sentire» la realtà che gli sta attorno. Un’esperienza in cui l’iniziativa è del Signore, dal quale Francesco si lascia condurre: la novità che sperimenta lo porta a cercare di approfondire la relazione con Dio, perché capisce che lì sta la chiave della sua esistenza. Non nel cercare di realizzare autonomamente i propri sogni o ideali, ma nel far spazio a un Altro, imparando a conoscere quali sono i suoi desideri e ad accogliere la Parola buona che dà pienezza alla sua esistenza.
Per questo, come testimonia Tommaso da Celano (il suo primo biografo), Francesco «era davvero molto occupato con Gesù» (FF 522) e «non era più un uomo che pregava, era ormai diventato preghiera vivente» (FF 682). Avendo scoperto il tesoro, il santo di Assisi non lo lascia più, ma si dedica con tutto se stesso a Dio; a partire da questo sviluppa un modo nuovo di guardare gli altri e il mondo: tutto è creato da Dio e, in trasparenza, lascia trapelare un raggio della sua luce. Il Cantico delle creature esprime, in tal senso, la lode a Dio attraverso le sue creature: non è l’espressione poetica di un amante della natura, ma il canto grato di un uomo che si riconosce immerso nell’opera stupenda della creazione. In essa, tutti sono fratelli e sorelle non per un ideale di fratellanza, ma perché figli dell’unico Padre.
Francesco d’Assisi è capace oggi di parlare a tante persone dalle provenienze più disparate; ma se l’incontro con la sua esperienza diventa più profondo, allora il discorso smette di essere poetico o rassicurante e spinge a interrogarsi in modo serio sulla propria relazione personale con Dio. E scopriamo che la vera lotta nella nostra vita non è anzitutto quella contro il conflitto o l’inquinamento, ma si gioca piuttosto tra il nostro egoismo (la tendenza che abbiamo a fondarci su noi stessi, a costruire autonomamente la nostra vita) e l’apertura alla relazione con l’altro, soprattutto con il Signore, l’unico che è veramente all’altezza della nostra esistenza.
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