Passeggiata nell’«altra» Venezia
Porto Marghera è lì in bella vista: la si vede da Venezia, dal Ponte della libertà. In auto, a piedi, in autobus, in bicicletta, in barca, in nave, in treno. Dall’aereo pure. La si guarda di sfuggita, la si sfiora quest’area. Pochi la conoscono davvero, a volte la si associa a ricordi, immagini e odori sgradevoli. È realtà impalpabile anche per un veneziano, troppo piena di attività per risolverla velocemente. Porto Marghera significa operai, storia di inquinamento e di bonifica, navigazione, porto, marittima, sociale, futuro, innovazione, archeologia industriale, energie rinnovabili, turismo, grandi navi, cantieri. E scelte politiche, anche, naturalmente. Qui risuonano nomi come Fincantieri, Petrolchimico, Eni… Eppure, Porto Marghera è molto di più di tutto questo: ciminiere e cantieri, ma anche uffici e start up; tradizione e innovazione.
Per cercare di averne un quadro più reale è utile «camminarci» dentro o osservarla dall’alto. E farsi illuminare dalla cartellonistica stradale che racconta la complessità e l’articolazione di questo luogo. Ecco perché muoversi a piedi in un’area così vasta permette di «vedere» con tutti i sensi, udito e olfatto compresi, e di scorgere aspetti inediti. D’altra parte, non l’ha detto anche papa Francesco, di recente, che per i giornalisti è importante andare a piedi a cercare le notizie? E, quindi, in marcia.
Poesia al tramonto
Porto Marghera dal Ponte della libertà è poesia, soprattutto verso sera, ma è comunque, sempre, un punto di vista privilegiato sulla storia di Venezia, sui suoi mezzi di trasporto e sulle sue industrie e attività. La luce migliore, un quarto d’ora prima del tramonto e poco dopo il calare del sole, incornicia insieme le diverse attività di questa città unica al mondo: la pesca, l’industria, il petrolchimico, la centrale elettrica, i nuovi grattacieli. E, in un solo colpo d’occhio, tutti i mezzi di trasporto visibili evidenziano la sua modernità e attualità: imbarcazioni, aerei, barche a remi e a motore, treni, biciclette, auto…
Porto Marghera, che è solo una parte del sistema portuale di Venezia, si estende in un’area vastissima, dalle molte potenzialità – come evidenziano le foto satellitari che si trovano in Rete – e particolarissima, vista la sua vicinanza «contrastante» con il centro storico di Venezia. La bellezza e l’incanto di una delle città più visitate al mondo accanto alla tecnologia industriale, alla freddezza delle lamiere, ai rumori e agli odori più improbabili, ai fumi e alla laboriosità. Imprenditoriale e operaia.
Ma Porto Marghera significa anche cereali e grano – tanto grano – lavorato già in loco (caratteristica tipica di questo porto), come altri prodotti che qui arrivano. E poi ci sono le «rinfuse» (merci) solide o secche (granaglie, carboni, minerali) o liquide (vino, latte), che vengono trasportate in navi specializzate, dette appunto «portarinfuse», come chiarisce (per gli addetti alla marittima, naturalmente) il cartello stradale che indirizza al porto commerciale e alla Vecon, la società che gestisce uno dei due terminal container del porto di Venezia.
Il porto è strategico dal punto di vista delle infrastrutture, perché ci si arriva facilmente con treno e camion senza incunearsi in colli di bottiglia, come accade altrove. Ed è un porto molto articolato nei canali, con le banchine che arrivano in vari stabilimenti: oltre ai terminal ci sono infatti banchine in concessione a privati per la trasformazione e la lavorazione dei prodotti. Ma ci sono anche le criticità dei fondali per la presenza di navi sempre più grandi e le bonifiche: l’area è uno dei primi SIN (siti di interesse nazionale) – Venezia Porto Marghera – interessati da interventi di bonifica, sulla base dei criteri del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, convertito in legge 426/1998 (Min. dell’Ambiente).
Il nuovo che avanza
È piena di contraddizioni Porto Marghera e di attività che sembrano dimenticate, di relitti industriali. Nell’ex palazzo dell’Expo (il passato recente), ora abbandonato, incontro un gruppo di studentesse (il futuro prossimo), che nell’abbandono vede un’opportunità: le trovo impegnate in un fotoshooting per un progetto universitario. Vengono da tutta Italia, studiano allo Iuav, sono attratte da quel disordine e, usandolo come location, riempiono quel luogo di speranza. L’impegno con cui si preparano al servizio fotografico è da professioniste, incuranti del freddo pungente che non è una passeggiata per le modelle.
«È un progetto didattico dell’università di Venezia – spiegano Sefora Maria Gallo, fashion designer e Maria Sofia Biccari, fotografa, che frequentano rispettivamente il secondo e primo anno della magistrale di Arti visive e moda –. Lo shooting è la fine di un percorso artistico e progettuale personale titolato Auto-sabotage. L’autosabotaggio è quell’insieme di azioni che mettiamo in atto, più o meno consapevolmente, e che ostacolano il raggiungimento dei nostri obiettivi a lungo termine». Sofia, la fotografa, ha individuato il posto e studiato scatti, pose e concept: «Abbiamo scelto questo posto perché dava l’idea di un qualcosa di trascurato ed era la perfetta metafora della non cura verso se stessi. L’erba alta da cui eravamo circondate e le scale mobili non funzionanti o ancora i rifiuti sparsi a terra rendevano particolarmente questa idea».
Con la loro intuizione riempiono questi spazi di ricerca di una possibilità, ma anche di interrogativi e danno una traccia di novità a questo reportage, raccontando una possibile realtà di riconversione non solo industriale, ma anche creativa di questi luoghi, offrendo una speranza persino all’ex padiglione Aquae, che ha fatto da sfondo al fotoshooting: inaugurato in pompa magna nel 2015 come unico evento collaterale all’Expo di Milano, non è mai decollato. Snobbato dai visitatori, è stato dimenticato. Di recente, però, ha ispirato l’idea di una conversione in palazzetto dello sport o di un suo utilizzo per le vaccinazioni anticovid. Dall’incuria alla cura? Si vedrà.
Mondo operaio
Suonano le sirene. Alle cinque escono gli operai da Fincantieri, molti sono stranieri di origine asiatica. Almeno quelli alle fermate degli autobus. Li incrocio nel mio pellegrinare tra passato e presente. Sfioro il complesso del Vega, uno tra i parchi scientifici-tecnologici più importanti d’Italia, che si estende su oltre 26 ettari di aree ex industriali di Porto Marghera. Un’altra trasformazione. Ci sono spazi vuoti e presenze rilevanti, come quella dell’università Iuav, tracce del passato con edifici fatiscenti, davanti a un’improbabile statua di plastica che ricorda la presenza di una mensa. Il Pat (Piano attuazione territoriale) – si legge nel sito del Vega – ipotizza per quest’area un futuro di «polo dei servizi e del tempo libero», con la conseguente «necessità di un piano economico e finanziario sostenibile da attuarsi in un arco temporale di 20 anni e di un piano degli interventi per la messa a sistema di viabilità, mobilità, reti infrastrutturali e funzioni d’uso». Osservando l’area com’è adesso, c’è da sperarci.
Nonostante la mia ostinazione per osservare camminando, Porto Marghera non è un luogo per passeggiare: è per auto e camion, al massimo per biciclette e motorini di operai e pendolari. Ma a piedi proprio no, specie nella zona «dei petroli». Nella zona delle raffinerie, per esempio, un pedone, per il solo fatto di avere una macchina fotografica al collo, attira l’attenzione della sicurezza privata. Giusto, è un’area sensibile. Ma è proprio a piedi che si scorgono particolari, ci si immerge nell’ambiente, si annusa l’aria che sa inequivocabilmente di idrocarburi. Odori locali. Odori che hanno una storia.
D’altronde, questa non è zona di turismo: è area di lavoro, manuale, industriale, intellettuale, commerciale. Di innovazione, di brevetti, di prodotti famosi. Di storia.
Tutto questo è raccontato nella Venezia Heritage Tower, ora proprietà di un consorzio e salvata dall’imprenditore Gianni Sottana con l’allora sindaco Massimo Cacciari: una vecchia torre di raffreddamento realizzata nel 1938, l’unica sopravvissuta di tre, capolavoro di archeologia industriale ed emblema dell’incontro tra passato e futuro. Luogo strategico per intravedere il futuro di Venezia che non è solo città d’arte e cultura, non vive e non è solo turismo, ma è anche impresa e industria. Da qui lo si comprende bene, sia nelle sale museali, disposte su più piani, dedicate alla storia dei marchi presenti in questa zona e ai brevetti (Vidal, Zampironi, Select…); e sia fisicamente, grazie al punto di vista unico – dall’alto – a circa 60 metri d’altezza.
«Prossimamente, dall’ultimo piano, che ha una vista a 360 gradi, le finestre permetteranno un sistema di realtà aumentata, per apprezzare e conoscere meglio che cosa Porto Marghera realmente rappresenta per Venezia e come ne è parte integrante» illustrano con orgoglio Christian Sottana, presidente del Consorzio multimodale Darsena, e Alessandra Previtali, presidente e amministratore unico della Venezia Heritage Tower. Questa torre è una sorta di traghettatore (culturale) di capacità tra generazioni. «È un punto di vista che andrebbe fatto conoscere anche a chi viene qui per turismo e per investimenti – sottolineano –. Per aiutare a far capire che Venezia è anche una realtà con una storia e un presente industriale e commerciale. Per questo all’interno della torre è stato realizzato un museo che ripercorre la storia di quest’area, che oggi dà lavoro a numerose imprese, in alcuni casi da quasi un secolo».
In questo momento epocale, comprendere che esiste un futuro diverso per Venezia, fatto non solo di industria del turismo e di grandi navi, ma anche di imprenditoria industriale, commerciale, di ricerca è indispensabile: Porto Marghera è lì, con la sua storia e il suo presente, con i suoi errori e i suoi successi a ricordarci che è possibile. Cambiando il punto di vista verso la città.
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