Pastori invece che preti
Nella storia del cinema non ci sono stati soltanto film (peraltro ben rari, ché la prevalenza è sempre stata «laica», a volte anche nel senso peggiore) di impostazione religiosa di matrice cattolica, ed è ovvio. Anche i protestanti hanno avuto un cinema che ha raccontato la loro fede e i loro problemi, nei modi di viverla dentro società sempre difficili, dentro una storia spesso nemica e sin troppo «laica». Ci sono stati alcuni grandi registi della storia del cinema che sono venuti dal protestantesimo e che hanno narrato dubbi e speranze dei credenti, e talvolta hanno raccontato difficoltà e dilemmi dei suoi sacerdoti, dei suoi «ministri». In Europa, non sono venuti dal Sud o, mettiamo, dalla Polonia, terre cattoliche, ma ovviamente dai Paesi della Riforma, in particolare da Danimarca e Svezia: Dreyer sopra tutti (La passione di Giovanna d’Arco, una santa venerata dai cattolici! Ma anche Dies irae sull’intolleranza dell’Inquisizione, e Ordet cioè «la Parola», «il Verbo»! E Gertrud, finale affermazione del primato della Carità sulle altre virtù) e poi Bergman, che ha raccontato più di una volta la crisi di pastori travolti – come egli stesso – dal dubbio.
E il dimenticato Alf Sjoberg, di cui ricordo con particolare amore una «sacra rappresentazione» popolare portata al cinema con straordinaria misura e rispetto, che in Italia venne durante la guerra, e furono ben pochi a vederla e poi a ricordarsene, con il titolo di Strada di ferro al posto dell’originale La via verso il cielo. Narrava di un giovane semplice proletario a cui muore la fidanzata ed egli vuole riportarla in vita rivolgendosi all’Alto, e lungo il cammino – così spesso narrato nel Medio Evo – incontra i Profeti ma anche il diavolo. Come accadeva in altri modi, stavolta giocosi, in un capolavoro dimenticato di Luis Buñuel, Subida al cielo, la salita verso il cielo: un bravo ragazzo deve cercare nella lontana città oltre la montagna la medicina che può salvare la madre morente, ma è tentato dal diavolo in veste di una maliziosa e affascinante giovane e gli soccombe, ma alla fine è premiato dalla sorte (dal cielo?) anche per questo...
Tornando ai pastori protestanti, dopo la guerra, a Hollywood, vi furono molti film a carattere religioso, di matrice cattolica come Bernadette o Le chiavi del Paradiso di Henry King, come le commediole rassicuranti su preti canterini e monache moderniste (La mia via, Le campane di Santa Maria, Le due suore eccetera) mentre un grande regista di melodrammi esule dalla Germania, Douglas Sirk, raccontò perfino il mondo dei gesuiti in La prima legione. Henry King, grande e probo artigiano della grande Hollywood, diresse nel 1951 un delicato e commovente film su un giovane che abbandona la carriera per farsi pastore, portandosi dietro una indomita moglie in una sperduta località di montagna nel cuore degli Usa: La collina della felicità. Difficoltà tante, ma alla fine una grande sintonia con la piccola comunità.
Gli Usa sono una nazione, anzi un insieme di nazioni, a dominante protestante e dove l'appartenenza religiosa conta molto anche sul piano politico, e non sempre positivamente, ed era ovvio che molti film ne trattassero, a volte in modo seriamente critico, per esempio nel film di Stanley Kramer che ricostruiva con massima obiettività in ...e l'uomo creò Satana (1960) un famoso processo del 1905, nello stato del Tennessee, contro un professore che aveva osato parlare nella sua classe di Darwin. Non c'è un solo modo nelle società umane di dimostrare la propria fede, ed è sempre consigliabile, nel comune rispetto, guardare anche a chi crede (o pensa) diversamente da noi.
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