Quando la malattia irrompe
«Gentile direttore, chissà quante lettere riceve come la mia... Non avrei mai creduto di entrare tra queste. Sono sempre stato bene, mai un problema fisico serio, sempre evitato gli ospedali perché mi mettono in soggezione, e adesso non mi sembra ancora vero tocchi a me lottare contro il cancro, portare pazienza io che me ne ritenevo privo, fare i conti con la sofferenza e con il limite, in vista di una guarigione che chissà se verrà. Non so se ha senso che le stia scrivendo e non so se ha senso la malattia, mi scuso e la ringrazio, perché almeno scrivendole mi sono sfogato. Preghi per me, se può». Lettera firmata
Non deve scusarsi: a volte sfogarsi può aiutare a non lasciar scivolare via sensazioni ed emozioni che meritano di essere prese sul serio. Mi dolgo con lei per la malattia che l’ha colpita… Quando succede, emerge la fragilità personale, che in realtà non ci ha mai lasciato, ma che spesso preferiamo mettere da parte, tra parentesi, tutti presi dal «non essere ammalati mai» e da un efficientismo che sembra imprescindibile per l’oggi.
Sto rispondendo alla sua lettera nei giorni appena precedenti il Natale. Ho di fronte a me le Fonti Francescane, la grande raccolta degli scritti di Francesco e Chiara d’Assisi, e delle prime testimonianze che li riguardano. C’è un episodio forse non così conosciuto che può illuminare quanto sta vivendo. Il titolo è Una consolazione davvero meravigliosa che il Signore le concesse nella sua malattia. «Le», perché la protagonista è Chiara, anziana, quando l’amico Francesco è già sepolto e canonizzato.
Ecco l’inizio del racconto: «In quell’ora della Natività, quando il mondo insieme con gli angeli giubila per la nascita del bambino, tutte le “signore” vanno in coro per il mattutino e lasciano sola la madre oppressa dalle malattie. Quella allora cominciò a pensare al piccolo Gesù e, molto dispiaciuta di non poter partecipare alle loro lodi, sospirando disse: “Signore Gesù, eccomi in questo luogo, abbandonata, sola con te”» (FF 3212). Quanto accade dopo è il motivo per il quale Chiara è patrona della televisione: lei che era sola, nel dormitorio di San Damiano, vede e sente a distanza la celebrazione che si stava tenendo nella chiesa di San Francesco. Ma sono le parole della santa il passaggio che più mi colpisce. Se è vero che la malattia ci fa sentire soli, oltre che fragili, in quel frangente siamo «soli con te». Sembra un paradosso! Ma è anche una verità grande.
«Gesù ci mostra che il cielo soffre insieme a noi quando noi soffriamo» leggo ben sintetizzato in Youcat, il catechismo per giovani. Dove trovo inoltre una bella spiegazione dell’unzione degli infermi, che «dona consolazione, pace e forza e unisce profondamente a Cristo» i sofferenti. «Molti malati hanno paura di questo sacramento – riconosce il catechismo – e lo rimandano fino all’ultimo, convinti che si tratti dell’anticamera della morte. Ma in realtà è vero il contrario: l’unzione dei malati è una sorta di assicurazione sulla vita».
Anche papa Francesco nel suo messaggio per la prossima Giornata del malato (11 febbraio) ha sottolineato come Gesù «si è fatto solidale con noi»: «La solidarietà di Cristo, Figlio di Dio nato da Maria, è l’espressione dell’onnipotenza misericordiosa di Dio che si manifesta nella nostra vita – soprattutto quando è fragile, ferita, umiliata, emarginata, sofferente – infondendo in essa la forza della speranza che ci fa rialzare e ci sostiene». È questa pure la mia preghiera: la vicinanza di Gesù, unica vera consolazione possibile, la faccia rialzare e la sostenga. Un abbraccio!