Rinascere. Vita che serve la vita

Mariapia Veladiano, nella sua consueta rubrica Bene-dire, una parola al mese per pensare, riflette sulle rinascite a cui siamo chiamati nella nostra vita.
10 Marzo 2020 | di

Non si può trattenere la primavera. C’è un momento in cui la vita viene custodita da quella particolare immobilità operosa che è l’inverno, durante il quale gli animali si proteggono dal freddo infoltendo la pelliccia, ibernandosi, migrando, andando in letargo, e le piante trattengono l’acqua nel tronco e assottigliano la propria attività. Stupende strategie protettrici selezionate in tempi lunghissimi, che non possono essere frenate o impedite se non forse come puntiforme esperimento di laboratorio, per poche specie e pochi momenti qua e là nel mondo. È una vita segreta e latente che al momento giusto vediamo manifestarsi, quando le gemme si distendono in piccole foglie perfette, il seme libera il germoglio fragilissimo che spacca la terra, l’asfalto, il cemento, una forza insospettata e, seguendo la luce, la vita si mostra e rabbrividisce nell’aria. 

Gesù rende Vangelo purissimo questa vita della natura: «Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano» (Mt 6,28). Parole che interpretiamo come un’esortazione ad affidarsi al Signore, il quale conosce ciò di cui abbiamo bisogno. Liberazione dall’affanno dei giorni. Ma la lettera delle parole ci regala un altro significato che ha a che fare anche con un nostro agire, una nostra operosità buona e positiva, non convulsa, non prometeica. Infatti, qualche verso sotto troviamo una seconda esortazione, meno contemplativa: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6, 33). Un’espressione che ricorda immediatamente un’altra affermazione tranchant, presente in Geremia: «A te farò dono della vita come bottino, in tutti i luoghi dove andrai» (Ger 45,5). 

È come se le scritture dicessero che la nostra vita conosce molti inverni, niente di nuovo sotto il sole. Stiamo appollaiati sul ramo fragilissimo della nostra incertezza, lontani e a volte sradicati dalla nostra stessa terra che non sappiamo riconoscere madre. La fatica o la rabbia o la stanchezza o la preoccupazione ci fanno vivere di sospetto. Un eccesso di mondo ci opprime, ora come in Palestina duemila anni fa. Lo sgomento dell’ingiustizia, di una vita che non pare più vita.

Ma in un punto Dio si affaccia sul mondo, la vita irrompe nella nostra storia, può essere riparata la paura, la promessa ci ha raggiunto una volta per sempre. Non si ritira l’amore di Dio, è questo che tiene insieme il mondo, è questa la promessa. Ma non siamo autorizzati a nessuna passività, a nessun immobile attendere che tutto capiti. C’è un’attesa come quella dell’inverno, operosa per noi di opere di giustizia. La vita è questo servire la vita che ci è data, sì, un bottino certo, ma noi con il nostro agire la giustizia facciamo accadere la promessa. 

Anche se tutto, come in primavera, avviene in ciò che è piccolo, nascosto. La vita rinasce piccola, sempre piccola, un poco alla volta, nel tempo, un rinascere che si deve scoprire, a volte anche cercare nelle nostre città senza terra, senza la terra che ci alimenta e ci sostiene. Rinasce nella pazienza dei rapporti che riparano l’ingiustizia, nella resistenza tranquilla e imperterrita di chi sa che tutto dobbiamo fare ma tutto è, come dire, garantito.

La vita è servizio alla vita che ha una sua autonoma energia di affermazione. Esiste primavera dopo primavera. Non c’è niente di facile oggi, ma questo seguire la vita, la primavera, e accompagnarla è una gioia che ci viene offerta. Lasciare essere la vita. Accompagnarla. Affidarla. 

Leggerezza. Il Regno di Dio è qui, è la buona novella. La primavera è qui. La vita è qui.

 

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Data di aggiornamento: 10 Marzo 2020
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