Sinodalità in clausura

Dopo otto anni le clarisse sono tornate ad abitare il monastero di Santa Rosa a Viterbo. Ma non da sole. Accanto a loro, altre suore e laiche e laici danno vita a una comunità sostenuta da uno spirito sinodale, al servizio del Vangelo.
21 Novembre 2025 | di

Poco più di un anno fa hanno lasciato l’Umbria, regione in cui sono presenti da secoli, e si sono incamminate verso Viterbo, nel Lazio, dove l’antico santuario di Santa Rosa aspettava fiducioso il ritorno delle consorelle della Santa. Le clarisse di Città di Castello (PG), con coraggio e buona volontà, alla vigilia dell’Anno santo, hanno così deciso di farsi pellegrine, per riaccendere la luce della vita clariana in quel monastero – nel cuore dell’antica città dei Papi – che custodisce le spoglie di una santa umile e piccola come Rosa. In effetti, le Sorelle povere di Santa Chiara avevano lasciato Viterbo nel 2016 (al loro posto, ad assicurare l’accoglienza dei pellegrini e la cura delle strutture, era stata una comunità di suore alcantarine): una assenza imposta, non senza dolore, dal loro ridotto numero e dall’età avanzata. I viterbesi, e i devoti della santa, avevano accolto con molto dolore quella inevitabile soluzione, ma la speranza era rimasta sempre accesa, come una piccola fiaccola che non si spegne. 

A dare consistenza a quella luce e a quella speranza, tornando ad assicurare la presenza clariana a Viterbo, proprio alla vigilia del Giubileo dedicato alla Speranza, ci hanno pensato le Clarisse Urbaniste del monastero di Santa Cecilia a Città di Castello. Le dodici sorelle, tra le quali un buon numero di giovani, guidate dalla dinamica abbadessa, madre Carmela Salvato, dopo un lungo discernimento, hanno maturato l’idea di un trasferimento dell’intera comunità dall’Umbria al Lazio, per ridonare vita a uno dei monasteri più antichi e significativi del loro Ordine, accogliendo anche il forte desiderio della Federazione delle Clarisse Urbaniste d’Italia, la cui presidente, madre Damiana Ardesi, aveva incoraggiato l’arrivo di una nuova comunità di sorelle nel monastero di Viterbo. Un’idea che ha poi preso i tratti della concretezza nel marzo dell’anno scorso, quando, non senza emozione, l’ultima clarissa ha lasciato lo storico monastero castellano di Via della Fraternità, nel cuore della cittadina umbra, chiudendo dall’esterno, per l’ultima volta, una porta che al suo interno custodisce un’esperienza spirituale e ascetica ricca di sei secoli di storia, per continuare a Viterbo un’altra storia, fatta di santità e preghiera, lavoro e fraternità. 

«La scelta di lasciare il monastero di Città di Castello è scaturita dal desiderio di continuare la tradizione delle sorelle che ci hanno preceduto nel custodire il corpo di Rosa e far conoscere la sua breve ma intensa vita – racconta madre Carmela –. Del resto, la sua esistenza è legata alla vita di Chiara d’Assisi, perché entrambe erano annodate alla figura di san Francesco. Rosa è un modello di fede cristiana ancora credibile ai nostri giorni». La figura di questa giovane, nata nel 1233, è infatti ancora attuale: «La beata Armida Barelli, parlando a Benedetto XV che aveva nominato la nostra santa “patrona della gioventù cattolica femminile”, la definiva come una “giovane, laica e propagandista”. A quasi otto secoli di distanza, resta di una modernità sconvolgente», sottolinea la madre. Alla sua morte, il 6 marzo 1251, il corpo venne traslato nell’antica chiesa di Santa Maria in San Damiano, divenuta poi il santuario di Santa Rosa, dove tutt’ora riposa incorrotto. Nel corso dei secoli, sono stati tanti i Papi che hanno sostato in preghiera davanti a quei resti, e hanno riconosciuto in lei i segni di una santità ordinaria, quasi una «santa della porta accanto». «Lei, nata povera, malata, rifiutata, aveva tutti i motivi per ribellarsi a Dio e alla vita, e invece si è abbandonata, si è consegnata a Cristo: ecco ciò che ci spinge a continuare a diffondere il profumo della sua vita, ed ecco perché siamo venute qua. Anche noi con amore e passione testimoniamo la centralità di Cristo Gesù nella nostra vita». 

Il ritorno delle clarisse

Un dono che si rinnova, in un modo del tutto nuovo, inatteso, quello delle figlie di Chiara nella città dei Papi. «Le clarisse sono state presenti in questo monastero sin dal 1235, e nell’arco di otto secoli si sono avvicendate innumerevoli generazioni di sorelle che con amore e passione, nel silenzio, hanno custodito il corpo della santa, permettendo a tanti fedeli di sostare davanti a lei in preghiera per impetrare grazie presso il Padre – prosegue madre Carmela –. Ecco perché, dopo la pausa di otto anni, era necessario riprendere al più presto la nostra presenza qua, tra le mura di questo santuario e del monastero che lo custodisce: Rosa non poteva stare senza le sue clarisse!». Ma se clausura fa abitualmente rima con contemplazione, e con una formale separazione dal mondo, a Viterbo le clarisse umbre hanno invece deciso di vivere questa caratteristica del loro carisma in un modo nuovo, come un vero e proprio laboratorio ecclesiale dove diversi carismi e stati di vita confluiscono in un esperimento del tutto inedito e declinato in modalità «sinodale». «Viviamo una singolare esperienza “allargata” insieme a due sorelle di vita attiva, suor Francesca e suor Elpidia, provenienti dalle alcantarine, e a un grande gruppo di circa settanta volontari, uomini e donne, con i quali è decollata una “nuova forma” di vita del santuario: una comunità varia, dove sono rappresentate diverse forme di vocazione nella Chiesa».

Le clarisse occupano infatti attualmente solo un’ala del vastissimo monastero. «Le attività del santuario sono molteplici, e la nostra comunità monastica, considerando il tanto spazio libero, pur conservando la propria vita contemplativa negli ambienti claustrali a noi riservati, ha deciso di aprirsi a una interazione ravvicinata con la vita attiva e i fedeli – spiega infatti madre Carmela –. Viviamo in modo pratico, concreto, ciò che la preparazione di questi anni di Sinodo ci ha chiesto». «Qui – prosegue – si incontrano e dialogano costantemente le varie forme di vita del cristiano: la contemplazione, la vita apostolica attiva e il laicato, ciascuna con i propri spazi, e nel rispetto del proprio carisma e dei propri ritmi, operando però in un unico progetto». E così il monastero di Santa Rosa oggi riesce a offrire una proposta spirituale e culturale molto variegata. 

«Nel Santuario ci sono i volontari che accolgono e guidano i pellegrini nei vari spazi aperti al pubblico, dalla chiesa, dove è conservato il corpo incorrotto della santa, all’antico refettorio e ad altri ambienti monastici, fuori dal perimetro della clausura. Ma c’è anche la presenza del “Centro studi Santa Rosa”, diretto dalla dottoressa Eleonora Rava – chiosa la madre –. Tutto ciò ci consente dunque di esprimere una bella testimonianza di vita fraterna, sinodale, voluta fortemente dalla nostra comunità monastica e dalla Federazione Urbanista, pur mantenendo lo specifico della nostra vita che si snoda tutta nella preghiera, nel lavoro, nella comunione; in uno stile di vita povero e umile». «Ma tra i tanti servizi che quotidianamente ci vedono impegnate – conclude madre Carmela –, oltre alla vita liturgica e alle attività spirituali e culturali, c’è quello dell’accoglienza ai pellegrini, e in special modo alle ragazze e alle donne che vogliano fare una esperienza di vita monastica, condividendo i nostri spazi e i nostri ritmi di preghiera, per discernere e scoprire i doni di Dio. E così vita contemplativa, vita attiva, clero e laici: tutti insieme siamo qua per annunciare e servire il Signore nella Chiesa: è questo il nostro sogno».
Un sogno che segue il filo rosso della sinodalità, ed è capace di mettere insieme contemplazione e missione, quasi presi per mano da una piccola, grande donna di otto secoli fa di nome Rosa.

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Data di aggiornamento: 21 Novembre 2025

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