Questo mese cade la seconda Pasqua vissuta in tempo di pandemia. Da una parte ci sentiamo impoveriti. Ci mancano le celebrazioni che ci aiutano a vivere un tempo «altro» come popolo e non come singoli; e poi il fare festa insieme, i raduni di famiglia, gli abbracci.

Dall’altra parte, questa è una Pasqua «spogliata» e purificata fino all’essenziale, dopo oltre un anno di convivenza, fianco a fianco, con una morte che non può essere rimossa, che è la prima notizia dei telegiornali, e che soprattutto ci tocca tutti da vicino: i nostri cari, i nostri amici, i nostri vicini... Chi non ha avuto una perdita o un’esperienza di sofferenza?

Il mistero della morte, diventato ormai parte del nostro quotidiano, può trasformarsi in una finestra di senso. Come scrive Mariangela Gualtieri, «rendi familiare la morte col tuo abitarla».

Il mistero della Risurrezione che ci accompagna in questo tempo pasquale, ci aiuta ad abitare la morte come un punto di transito e non di arrivo, come angolo da cui scorgere una vita piena, e non la fine della vita.

Se con san Francesco concepiamo la morte come sorella, anziché come nemica, il nostro sguardo sulla vita cambia. Vita e morte sono legate, e il legame non è di esclusione ma di unione paradossale.

Lo scrive anche Etty Hillesum: «Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita si amplia e si arricchisce quest’ultima».

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