Spontaneo, inevitabile e naturale

Parlare di sessualità significa parlare anche di libertà, dignità e autonomia delle persone, comprese quelle disabili.
14 Maggio 2020 | di

«Ho avuto alcuni maestri di vita: Martin Luther King, Gandhi e don Milani, a parte il mae­stro con la M maiuscola, Gesù. Mi vorrei però ora soffermare su uno dei concetti più cari a don Milani: l’obbedienza non è più una virtù». Così, qualche mese fa, la dottoressa Cristina Pesci, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa con disabilità, ha dato avvio a un incontro di formazione sul tema della sessualità rivolto a un gruppo eterogeneo di disabili, famiglie ed educatori del Centro Documentazione Handicap di Bologna. Un momento molto intenso, che ha aperto una discussione a cui nessuno di noi, nemmeno la nostra doc, ha saputo mettere il punto. È quello che succede ogni volta che si affronta questo spinoso argomento, perché la sessualità è un tema «spontaneo, inevitabile e naturale», proprio come la Pesci lo ha definito, e questo è anche il suo bello, perché apre a nuove forme di conoscenza.

Tutto ciò che riguarda l’intimità della persona con disabilità, lo sappiamo, mette spesso in crisi sia chi vive questa condizione su di sé sia chi ne parla, perché poco classificabile, perché racchiude e comprende delle difficoltà e delle «normalità» insieme. Parlare di sessualità significa, infatti, parlare anche di libertà, di dignità e autonomia delle persone, della nostra capacità di saper disobbedire, quando serve, a quelle aspettative, sociali o personali, che a volte ci ingabbiano e ci costringono, alimentando le nostre insicurezze. L’equazione disabili uguale «angeli asessuati» fa ancora parte di un pensiero piuttosto diffuso, che si basa su un’immagine pietistica e infantile dell’handicap. Questo crea una cultura di svalutazione del corpo, che non considera quanto tutti possano in realtà raccontare di sé e avere un peso rispetto alla propria esperienza, ai propri desideri e alla propria progettualità. Perché gli aspetti sessuali e affettivi incidono sulla nostra esperienza. 

C’è poi un altro aspetto, emerso in maniera dirompente anche durante l’incontro: la separatezza tra sfera intima e sfera famigliare come elemento di normalità. Dove finisce la cura e dove inizia il diritto al segreto e all’autonomia? Perché la persona con disabilità si ritrova sempre al centro di questa opposizione? Le paure e preoccupazioni che nascono nei genitori sono spesso, paradossalmente, la prima causa di certe battute d’arresto. Come posso gestire – ci si chiede – sul piano pratico ed emotivo un ipotetico rifiuto, la sofferenza di mio figlio o, addirittura, una sua eventuale relazione? Da qui nasce la tendenza delle famiglie a evitare il problema, a voler nascondere quest’aspetto che deve rimanere invisibile, perché potrebbe scardinare degli equilibri. Timori legittimi, ma su cui è arrivato il tempo di fare un salto in avanti, per la crescita culturale collettiva e non solo dei singoli. Parlarne e riflettere insieme è la chiave, a mio parere, per poi arrivare ad affrontare questo tema così delicato nel modo più naturale possibile. Non sempre obbedire, come ci insegna don Milani, è lo spirito giusto con cui accogliere la diversità e la bellezza che l’accompagna. 
E voi che cosa ne pensate? La disabilità fa parte della sfera degli «angeli asessuati» oppure semplicemente delle persone? Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulla mia pagina Facebook.

 

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»! 

Data di aggiornamento: 14 Maggio 2020
Lascia un commento che verrà pubblicato