Tra pollai e bonsai
Ogni anno la solita questione: classi con un numero sproporzionato di alunni. Per la secondaria di secondo grado la normativa prevede che si possa arrivare fino a 30, se non ci sono studenti col sostegno. Ma è possibile vivere un’esperienza scolastica in un gruppo così grande? Mi scrive Marco che a settembre inizierà la quinta e dovrà sostenere l’esame di maturità: «Con qualche compagno non ho mai scambiato nemmeno due parole. Siamo dei perfetti estranei. Nella mia classe, saremo in 28. In quarta eravamo 31, ma poi le bocciature hanno “aggiustato” il numero. Ci siamo fatti un gruppo WhatsApp, ma solo tra noi che ci consideriamo amici. Un numero più piccolo non sarebbe stato meglio per noi, per creare una famigliarità che ormai, all’ultimo anno, sembra impossibile? Uscirò col rammarico di non aver potuto né conoscere né frequentare tutti». Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Un gruppo classe sufficientemente numeroso garantisce a ciascun membro la possibilità di scegliere relazioni, legami e amicizie, sia sul piano socio-affettivo che su quello dell’aiuto scolastico vero e proprio. Nelle «classi pollaio», composte, cioè, da più di 25 ragazzi e ragazze, diventa però tutto molto complicato, in quanto prevale la dimensione dei sottogruppi. La classe non riesce più a creare coesione e, per garantirsi degli spazi sociali adeguati, si formano dei nuclei che possono creare delle vere e proprie esclusioni. Le «classi bonsai» diventano, viceversa, eccessivamente ristrette, molto forti quando funzionano e quindi fin troppo coese, presentano una povertà di possibili relazioni. Pertanto, neanche il numero limitato, addirittura in alcuni casi di solo 8 componenti, consente una buona convivenza.
Se il pollaio e il bonsai non vanno, che cosa allora può funzionare? Attenzione all’età: più i bambini sono piccoli e meno hanno bisogno di gruppi grandi. Nella primaria, un numero adeguato si attesta tra i 14 e i 18 compagni; dopo gli 11 anni, tra i 18 e i 25. Anche se va detto che risulta comunque difficile stabilire la misura giusta una volta per tutte. Ecco allora che la professionalità pedagogica diventa decisiva, a maggior ragione in contesti problematici. Il buon insegnante non funge da «bancomat» di lezioni, «spiegoni» e contenuti nozionistici. Assume piuttosto un ruolo di regia volto a far lavorare gli alunni tra di loro, a costruire calde e intense interazioni sociali che consentano alla classe di funzionare come organismo vivo. Motiva e favorisce lo scambio sia per star bene assieme sia per lavorare bene assieme. Insomma… se occorre avere un numero di alunni adeguato nella classe, ben più importante è occuparsi della formazione metodologica e didattica dei nostri preziosissimi insegnanti.
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