Tre cammini
La Bibbia è un libro pieno di strade e di vento, un libro che sanguina. Come nel racconto della fuga del profeta Elia davanti ai sicari della regina mandati a vendicare il sangue dei 450 profeti di Baal (1Re 19,3-8). Il profeta braccato fugge, rivendica il diritto alla fuga salvifica. È diritto profetico fuggire da luoghi di morte. Dovere religioso e umanissimo quello di non amare la morte e le sue figlie, di progettare evasioni. Abbiamo il diritto, come Elia, di abbandonare luoghi, ambienti, società, gruppi, perfino amori tossici che fanno morire sogni e libertà. E di domandarci: la mia vita è mortificante o vivificante? Scelgo resa o evasione?
Stanchezza, paura, fame, e il profeta Elia si arrende. Si trascina al povero riparo di una ginestra e prega: «Basta Signore, prendi la mia vita». Sfinito, cade in un torpore, da cui lo sveglia una carezza. È un angelo che gli dice: «Alzati, mangia». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve e quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l’angelo, lo toccò e gli disse: «Alzati, mangia, perché troppo lungo è per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni fino al monte del Signore, l’Oreb.
Elia è un simbolo: la fuga diventa esodo. Ma non trova un cavallo bardato, trova solo un pane, un orcio d’acqua e una carezza. L’essenziale, che viene a noi con quella apparenza di inutilità che hanno spesso le cose più importanti e necessarie, come l’aria e la luce. Pane, acqua e una mano tesa bastano a riaprire il futuro. Se non ci bastano, niente ci basterà mai. Noi cerchiamo i segni straordinari di un Dio illusorio e non ci accorgiamo dei segni concreti di un Dio reale: un sms, una telefonata, un incontro, un libro, una preghiera... Nessun cammino è troppo lungo, se cerchi il suo volto. Ed Elia inizia il suo esodo di quaranta giorni verso il monte, ci va camminando sulle sue gambe.
Il Signore non lascia che gettiamo la spugna, non accetta che ci arrendiamo, con Dio c’è sempre un poi: «Elia, alzati, ricomincia»! Come in questa bellissima preghiera attribuita a Leone Magno: Non ti arrendere mai / neppure quando la fatica si fa sentire e il tuo piede inciampa, / neppure quando i tuoi occhi bruciano e i tuoi sforzi sono ignorati, / neppure quando la delusione ti aggredisce, / il tradimento ti ferisce e l’errore ti scoraggia, / neppure quando il successo ti abbandona, / l’ingratitudine ti sgomenta, l’incomprensione ti circonda, / neppure quando la noia ti fa dire che niente vale / o il peso del peccato ti schiaccia, / anche allora apri il cuore, sorridi, e ricomincia. Infatti, sull’Oreb, Dio viene; viene nel sussurro di una brezza leggera, parla e riapre cammini. Elia non trova la pace che sperava, neppure sul monte dell’estasi: «Su, ritorna sui tuoi passi, verso il deserto di Damasco».
Ecco il terzo cammino, dopo fuga ed esodo: l’invio verso la città degli uomini. Con Dio non c’è il riposo che pure meritavi: Elia, ricomincia il cammino! Vivi a partire da te, ma non per te. Il profeta arreso viene rialzato, il veggente che parla con Dio è rimandato agli uomini: la meta del viaggio non è un luogo, ma il passo successivo. Tra deserto, monte e città, il messaggio del profeta dice:
- rivendica il tuo diritto alla fuga dai luoghi di morte; e quello alla stanchezza e alle crisi;
- rivendica la mano di Dio perché si prenda cura di te, in alto silenzio e con piccole cose. Dio che non agisce al posto tuo, ma risveglia potenzialità nascoste;
- rinnova il coraggio, virtù degli inizi, e la pazienza, che è l’arte del seme nella terra, e ricomincia. Nessun cammino sarà lungo se ami anche Damasco.
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