Tutti quelli che troverete, chiamateli
Domenica 20 ottobre si celebra la 98a giornata missionaria mondiale. Questo evento ricorda che l’anima della Chiesa è anzitutto missionaria, in risposta al mandato di Gesù: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15).
In realtà, sono molte le pagine missionarie nel Vangelo: quest’anno, nel suo messaggio per questa giornata, il papa ha voluto riprendere una frase presente nella parabola del banchetto di nozze (Mt 22,1-14): «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (v. 9). Sono le parole pronunciate dal re ai suoi servi, che precedentemente aveva mandato a chiamare gli invitati “ufficiali” alle nozze del figlio, i quali avevano avevano continuato a fare i propri affari, insultando i servi, fino anche a ucciderne qualcuno. È qui rappresentato il rifiuto e l’opposizione che il messaggio cristiano trova fin dall’inizio: scandaloso per gli ebrei, perseguitato nell’impero romano. Non è solo la vicenda di Gesù, che possiamo vedere come il figlio del re al cui banchetto sono chiamati gli invitati, ma anche quella dei suoi discepoli, dagli inizi fino a oggi.
L’invito, rifiutato dai primi, è esteso a tutti, buoni e cattivi, dice la parabola. Ed è così, perché l’impegno prioritario della Chiesa è proprio l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo.
Impegno solo di qualcuno? No, di tutti i cristiani, come ribadisce il testo del papa: «non dimentichiamo che ogni cristiano è chiamato a prendere parte a questa missione universale con la propria testimonianza evangelica in ogni ambiente». Spesso si parla di collaborazione e corresponsabilità all’interno della Chiesa, lamentando il fatto che i laici sono collaboratori, ma i ruoli di responsabilità sono in mano alla gerarchia ecclesiale: un tema importante, quello della potestà di governo, che richiede di essere affrontato con attenzione. Tuttavia, la prima responsabilità condivisa da tutti i cristiani nasce proprio dal mandato di Gesù di annunciare il Vangelo: tutti i cristiani sono chiamati a rispondere a questo invito e a fare la nostra parte, tutti sono corresponsabili dell’annuncio del Vangelo.
Il papa, poi, si sofferma sulla modalità dell’annuncio: «nel proclamare al mondo “la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto”, i discepoli-missionari lo fanno con gioia, magnanimità, benevolenza, frutto dello Spirito Santo in loro; senza forzatura, coercizione, proselitismo; sempre con vicinanza, compassione e tenerezza, che riflettono il modo di essere e di agire di Dio». Tutto questo necessita di aver fatto esperienza della gioia dell’incontro con il Signore: la missione non può ridursi a un dovere da compiere, anche se chiaramente richiede un impegno, ma è piuttosto condividere quanto si è scoperto nella propria vita, le meraviglie che Dio ha operato.
L’attività missionaria cambia la vita: è questa la testimonianza di tanti che hanno speso anni in terre lontane. E il primo passo è proprio quello dell’incontro e della reciproca accoglienza: qualsiasi cambiamento o conversione può partire solo dalla conoscenza e dalla consapevolezza di quello che già e presente, perché anche lì ci sono tratti di bellezza e bontà ai quali il Vangelo, buona notizia, si può legare. Perché, in fondo, tutto il bene viene da Dio, come amava dire san Francesco d’Assisi; e allora, essere missionari può voler dire trasformarsi in cercatori di bene, che sanno riconoscerne la presenza e indicare a tutti da dove viene.
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