Un laboratorio per ricominciare
L’ape nell’alveare, la formica nel formicaio… anche il più piccolo essere vivente, col proprio operato, può fare la differenza in un’economia globale. Poco importa se manca lavoro, se la crisi economica morde e la pandemia incombe. Cittadini e migranti, operai e amministratori delegati, siamo tutti parte dello stesso sistema. Un grande ingranaggio in cui il successo del singolo corrisponde a quello della collettività. Proprio per questo è importante investire nelle persone. A partire da quelle in difficoltà. Per regalare speranza e costruire futuro laddove un futuro sembrava impossibile.
Lo sanno bene all’Antoniano di Bologna, dove dal 2015 si svolgono i laboratori migranti in collaborazione con «Arte migrante». Un progetto che al momento coinvolge 55 volontari e 85 partecipanti, ma che è destinato a crescere e a svilupparsi ancora. «L’offerta è ampia e aperta a tutti: dalla persona senza fissa dimora a quella richiedente asilo, fino al pensionato e allo studente – racconta Tommaso Carturan, ideatore e responsabile dei laboratori –. Si va dal corso di danza a quello di orto, di teatro o di argilla. Dalle lezioni di inglese e italiano per stranieri a quelle per ottenere la patente».
C’è un corso però che più di ogni altro, in questo tempo di disoccupazione e crisi economica, risulta fondamentale per voltare pagina e provare a costruirsi un futuro. «Nel laboratorio “Ricerca lavoro e redazione del CV” non ci limitiamo a supportare le persone nella compilazione del curriculum, ma facciamo da tramite con aziende e agenzie. In questo senso, il volontario diventa molto più di un insegnante, perché agisce non solo sulla carta, risolvendo unicamente questioni burocratiche».
Nel percorso di accompagnamento anche la relazione e il sostegno morale sono indispensabili, specie quando si tratta di persone che hanno sofferto, intrappolate in un fallimento continuo. A fruire del corso dell’Antoniano, infatti, sono a oggi giovani tra i 20 e i 40 anni provenienti perlopiù da Paesi africani. «Gran parte di loro – precisa Carturan – viene dalla Nigeria e dalla Libia. Ha affrontato terribili viaggi attraverso il Mediterraneo ed è finito per la strada, salvo poi, in alcuni casi, bussare alla mensa dell’Antoniano. Altri sono italiani che hanno perso il lavoro o che, a causa di contrasti in famiglia, si sono ritrovati a vivere per strada».
Cambiare prospettiva
Nulla però è irrimediabile. E i servizi offerti dall’Antoniano ne sono la prova. Neppure il Covid è riuscito a fermarli. «Dopo il lockdown il laboratorio “Ricerca lavoro e redazione del CV” è rimasto in modalità virtuale tramite videochiamata Whatsapp una volta a settimana – spiega Carturan –. Contro ogni previsione, tale modalità si è rivelata una ricchezza, perché ha favorito rapporti più costanti nel tempo e, dunque, ha innalzato la qualità del servizio». Il rischio di rimanere intrappolati nella realtà virtuale, però, non va mai sottovalutato. Per questo è importante – pandemia permettendo – recuperare il piacere dell’incontro in presenza. All’Antoniano lo sanno bene, non a caso – mentre proseguono i lavori di ristrutturazione delle aule – alcuni corsi sono tornati in presenza nel giardino interno di via Jacopo della Lana. Presto toccherà anche al laboratorio «Ricerca lavoro e redazione del CV».
Ma prima servono nuovi strumenti e materiali… Su tutti: i computer per sostituire quelli obsoleti in uso precedentemente. Un bisogno primario che nei prossimi mesi sarà finanziato da Caritas sant’Antonio. Ma ha davvero senso, in questi tempi difficili, investire nella formazione? Non c’è il rischio di fallire e disperdere energie? «Sono convinto che il futuro dipenda dalle idee che riusciamo a generare, dalla capacità innovativa e dal contributo che ognuno di noi può dare – risponde fra Giampaolo Cavalli, direttore dell’Antoniano di Bologna –. Investire nella formazione, dunque, significa cambiare prospettiva nella relazione verso se stessi e verso gli altri». Un processo, questo, che consente di acquistare consapevolezza delle proprie risorse e che, in seconda battuta, invoglia a metterle al servizio del prossimo.
«Nei laboratori – continua fra Giampaolo – vediamo come le persone che si trovano nel bisogno siano in realtà portatrici di risorse e potenzialità che non pensavano di avere. A fronte di una fragilità legata alla fatica di rientrare in una dinamica altamente competitiva come quella attuale, scoprire di non essere soli e di poter fare affidamento su qualcuno è decisivo». Da qui il bisogno di creare contesti aperti e informali, spazi di condivisione in cui riscoprire la fiducia in se stessi, mettendo da parte diffidenza e preconcetti. «Accogliere, in fondo, è un’arte – conclude fra Giampaolo –. Perché l’accoglienza ha a che fare con la bellezza. Non è un lavoro e non può essere quantificata. Ma va a toccare l’intimità di ciascuno, al di là di stipendi e orari».
Segui il progetto su www.caritasantoniana.org
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