Un nuovo Delegato per la Basilica
Lo scorso 27 giugno, papa Francesco ha nominato un nuovo Delegato pontificio per la Basilica di Sant’Antonio. È monsignor Diego Giovanni Ravelli che, l’8 ottobre, fa il suo solenne ingresso nel Santuario antoniano.
Msa. Monsignor Ravelli, come ha accolto la notizia di questa nomina?
Ravelli. Con un po’ di inquietudine e di timore: è infatti un nuovo incarico oltre a quelli già impegnativi che rivesto (monsignor Ravelli è maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie e responsabile della Cappella musicale pontificia sistina, ndr) ed è oltretutto un compito che svolgerò in una realtà che non conosco – ma che so essere ricca di fede, di storia e di cultura – e per di più anche un po’ lontana dalla mia sede abituale, che è a Roma. Ma al contempo ho avvertito forte anche un altro sentimento: mi è tornata alla mente, infatti, un’immagine che mi è familiare, quella di una statua di sant’Antonio che si trova nella chiesa del mio paese nativo, Lazzate, in provincia di Monza e Brianza. Questa statua mi ha sempre colpito, perché raffigura un Antonio molto giovane, con un giglio e in grembo il Bambino Gesù che ha le braccia aperte. Antonio guarda il Bambino con una tenerezza che mi ha sempre trasmesso serenità e pace. E quindi, accanto alla normale inquietudine iniziale, si è fatta strada la serenità, anche pensando alla vita di sant’Antonio, che possiamo definire per molti versi inquieta: quanti progetti aveva e quante volte ha dovuto cambiare via, piani, perché Dio aveva altri disegni su di lui... Come ha fatto? Ha messo sempre al centro del suo cuore Gesù, la sua grazia, la sua misericordia che sempre ci precede e ci dà pace. Per questo nella Messa d’ingresso, l’8 ottobre, chiederò a Dio, per intercessione di sant’Antonio, la grazia di vivere questo nuovo servizio «con serenità di animo, con inalterata fiducia nella grazia di Dio e anche con un pizzico di buonumore», per riprendere le parole pronunciate dal Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, durante la mia ordinazione episcopale.
A suo avviso, che cosa può dire al mondo di oggi questo Santo così amato?
Non sono solo le grazie e i miracoli dei santi ad attrarre i fedeli, e questo vale per Antonio e per ogni altro santo e santa. Anche Gesù compiva miracoli, ma non per questo chi vi assisteva credeva. Il grande fascino di sant’Antonio, così come di ogni santo, io credo derivi dall’aver incontrato Gesù e dall’aver fatto del Vangelo la sua passione, la sua vita. Antonio è diventato un Vangelo vivente: è questo il suo miracolo più grande. Nel mio motto episcopale, ho scelto le prime parole dell’Evangelii gaudium, la prima esortazione apostolica di papa Francesco: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù». E credo che sant’Antonio di questa gioia sia pieno, proprio perché ha incontrato Gesù e Gesù ha preso dimora nella sua vita. Mi piace riandare ancora a quel sant’Antonio che ho visto per tanti anni nella mia chiesa, che regge Gesù tra le braccia per contemplare il Figlio di Dio nella sua umanità, certo, ma anche per mostrarcelo. Lo tiene tra le braccia non per tenerlo per sé ma per donarcelo, per invitarci ad accogliere Colui che, solo, sa riempire il cuore, sa saziare la vita di coloro che sono alla ricerca della vera gioia.
C’è un motto, coniato per l’ottavo centenario della nascita del Santo (1195-1995), che vorrebbe sintetizzare la sua opera: «Antonio, Vangelo e Carità». In quale modo, a suo avviso, si può declinare oggi questo binomio, ricordando anche che il Papa firma ogni anno il suo Messaggio per la Giornata mondiale dei Poveri proprio il 13 giugno?
Io ho lavorato per 23 anni nell’Elemosineria apostolica, che è l’Ufficio della carità del Papa. E questo compito mi ha molto segnato. Le voglio raccontare un episodio. Pochi giorni prima della mia nomina a Delegato pontificio, ufficializzata il 27 giugno, io mi trovavo in Portogallo per preparare la parte liturgica del viaggio papale per la Giornata mondiale della gioventù (GMG). Ed ero quindi a Lisbona proprio il 13 giugno, festa di sant’Antonio. Quella mattina, il Patriarca della città mi fece dono a colazione di un piccolo pane ben confezionato: il pane di sant’Antonio. In quel momento non potevo ancora dire niente circa il mio nuovo incarico, ma ho avvertito nel cuore che, tra tutti i simboli antoniani, quello mi è senz’altro il più caro, perché raffigura il suo amore, la sua carità verso i poveri, gli ultimi. E come non posso pensare sant’Antonio senza il Vangelo, che dice la sua fede in Gesù e la sua profonda conoscenza della Parola di cui si è fatto illustre predicatore, così non lo posso pensare senza il pane. Per me è davvero un binomio inscindibile e dunque quel motto coniato nel 1995 mi piace molto. Io credo che il luogo privilegiato per incontrare Gesù sia dove c’è la sofferenza, l’emarginazione, dove ci sono la povertà spirituale e la povertà materiale. Nel volto dei poveri noi siamo sicuri di vedere quello di Gesù. Quando tocchiamo la carne di chi soffre, noi tocchiamo il vero corpo di Gesù. Ce lo ha detto Lui: «Qualunque cosa avete fatto o non fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto o non fatto a me». Per questo, non appena ho preso contatto con i carissimi frati minori conventuali che con grande amore custodiscono, curano e servono da secoli pastoralmente la Basilica dedicata a Dio in onore di Antonio, ho condiviso con loro un mio desiderio: so che fanno già molte opere di carità in tutto il mondo, ma io vorrei, insieme con loro, fare ancora di più, affinché l’ardore della carità infiammi con sempre maggiore forza i nostri cuori, come ha infiammato quello di sant’Antonio.
Una curiosità. Gli scorsi mesi, durante la GMG di Lisbona, è girata una fotografia che la ritraeva con papa Francesco, accanto alle reliquie del Santo. Ci racconta com’è nata quell’immagine?
Ci trovavamo nella sacrestia che era stata preparata vicino al luogo della celebrazione della Messa, a conclusione della GMG. Qui gli organizzatori avevano raccolto tanti oggetti di devozione e tra questi c’era la reliquia di Antonio, che era stata portata da Padova a Lisbona. C’era un po’ di tempo, perché il Papa era giunto in anticipo, e così ho preso quella reliquia e l’ho avvicinata a lui. Deve sapere che il Pontefice mi chiede spesso: «Come va a Padova?», perché è interessato alla vita della Basilica, e così in quel momento, sorridendo, gli ho detto: «Guardi, Santo Padre, sant’Antonio di Padova è tornato nella sua città, a Lisbona, quindi adesso non mi deve più chiedere come va a Padova, bensì come va a Lisbona…». Anche lui ha sorriso, ma poi si è fermato qualche istante in preghiera silenziosa davanti alla reliquia, l’ha toccata e si è fatto il segno di croce. La foto cui si riferisce immortala proprio quel momento, ripensando al quale mi viene spontaneo ripensare anche al ministero che mi è stato affidato, a Colui che sono chiamato a servire: Gesù, nella persona sia del Santo Padre, per quanto riguarda soprattutto la liturgia, sia nella figura di sant’Antonio, nella Basilica innalzata in suo onore.
Un ultimo aneddoto. Sappiamo che c’è un piccolo anello di legno che da qualche anno la segue ovunque. Ce ne racconta la storia?
L’ho raccontata durante il ringraziamento che ho pronunciato al termine della mia ordinazione episcopale, lo scorso 3 giugno. Qualche anno fa, durante la celebrazione di una delle prime Giornate mondiali dei Poveri, tra i ministranti chiamati a servire la Messa del Papa c’era un giovane, che allora era recluso in una casa circondariale. Non conosco il suo nome, né so dove oggi si trovi. Ma non posso dimenticare il suo sorriso e l’espressione di gioia con cui, prima della Messa, mi ha voluto regalare un anello di legno, un semplice cerchietto liscio fatto a mano da lui. La sua intenzione, per la verità, era quella di donarlo al Santo Padre, durante i saluti, ma invece all’improvviso mi ha guardato e mi ha detto: «Lo voglio regalare a te» e mi ha abbracciato. Ero imbarazzato, perché non sapevo come ricambiare quel gesto, e che cosa fare di quell’anello, visto che non avrei potuto indossarlo. Eppure avvertivo che quel dono aveva qualcosa di speciale, mi aveva colpito, e così, quasi senza pensarci, l’ho appoggiato sul dito di una statua della Madonna che stava, e ancora sta, nel mio ufficio. Sono passati anni da quel giorno, la statua è stata spostata in diversi luoghi, è andata persa anche la corona di stelle che aveva sul capo, ma quell’anello è sempre rimasto lì. Alla luce di oggi, però, riesco a trovare un senso a quel dono inaspettato: mi piace vederlo come il primo anello episcopale che mi è stato donato da una persona in difficoltà – e per questo è ancora più prezioso –, e che io ho messo nelle mani più sicure, quelle di Maria, la madre di Gesù e la nostra mamma celeste. Quella statua e quell’anello sono ancora con me e mi ricordano di mettere ogni ministero che sono chiamato a svolgere nelle mani di Maria. A lei chiedo di accompagnarmi con la preghiera. E lo stesso chiedo a voi e a tutti i lettori del «Messaggero di sant’Antonio»: pregate per me!
N.B. L'ingresso del nuovo Delegato Pontificio, mons. Diego Ravelli, è previsto domenica 8 ottobre alle 11, con una Santa Messa solenne animata dalla Cappella Musicale Antoniana e trasmessa sul sito www.santantonio.org, sul profilo Facebook «Sant’Antonio - I frati della Basilica», sul canale YouTube: «Messaggero di sant’Antonio» e su Telepace - Reteveneta.
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