Un pulpito itinerante

Sant’Antonio fu un grande predicatore, difensore degli ultimi. E, dal pulpito, i confratelli diffondono ancora oggi il suo forte messaggio di giustizia e carità.
25 Gennaio 2022 | di

Il profumo d’incenso si diffonde dall’altare e attraversa l’intera Basilica del Santo permeandone ogni angolo. Sottolinea la solennità della Parola appena proclamata nella festa liturgica di Maria Immacolata. Il Santuario è gremito di fedeli raccolti in preghiera: famiglie, bambini, giovani e anziani. Molti i padovani, ma tanti anche coloro che vengono da lontano. È l’occasione per onorare la Madre di Dio ed esprimere una preghiera, custodita nell’intimità del cuore, davanti alla Tomba del Santo. Il silenzio aiuta il raccoglimento. Dal pulpito, il celebrante offre una riflessione sulle letture e il Vangelo del giorno. A vegliare sull’assemblea, la trecentesca Madonna del Pulpito, affresco attribuito a Stefano da Ferrara, nel periodo del dominio Carrarese. Si trova a ridosso dell’antico pulpito da cui prende il nome.

Il pulpito è uno degli spazi centrali nelle celebrazioni liturgiche. Il suo nome deriva dal latino pulpitum, piattaforma sopraelevata usata, fin dai tempi dei romani, dagli oratori per farsi vedere o udire. Nelle chiese, a partire dal Medioevo, è utilizzato per le letture, la proclamazione del Vangelo e la predicazione. Per i devoti che entrano in Basilica, il pulpito diventa, nell’immaginario, lo spazio di Antonio, grande predicatore. «Questo è il luogo del Santo, ma soprattutto della Buona Notizia – spiega fra Andrea Massarin, vicerettore del Santuario antoniano –. Abbiamo tutti bisogno di buone notizie. Soprattutto nei momenti di difficoltà, di sconforto. E la Parola è la buona notizia per antonomasia, perché porta con sé la verità della risurrezione e della salvezza».

Il pulpito di Antonio è sempre stato un «pulpito itinerante», di strada, tra la gente. E la sua Basilica rappresenta, simbolicamente, i tanti pulpiti che lo hanno avvicinato sempre più al popolo. Un cammino umano e spirituale, quello di Antonio, iniziato otto secoli fa, quando il Santo maturò la sua vocazione al seguito di Francesco d’Assisi. A guardare tale pulpito vengono alla mente i Sermoni – importante opera letteraria e teologica in latino medioevale, con oltre seimila citazioni tratte dalle Scritture e riferimenti ai Padri della Chiesa, a teologi e filosofi – che Antonio scrisse con lo scopo di fornire ai suoi frati uno strumento di formazione a partire dalla fede, favorendone la sua traduzione nella vita di tutti i giorni, nei «buoni costumi».

Papa Francesco, nel suo messaggio per gli ottocento anni della vocazione francescana del Santo, ha espresso l’augurio che tale ricorrenza potesse suscitare nei tanti devoti «il desiderio di sperimentarne la stessa santa inquietudine che lo condusse sulle strade del mondo per testimoniare, con le parole e le opere, l’Amore di Dio». E ha invitato tutti i giovani a guardare a questo Santo, così antico ma al contempo così moderno e geniale nelle sue intuizioni: «Possa essere per le nuove generazioni un modello da seguire per rendere fecondo il cammino di ciascuno».

Perché al centro del messaggio di Antonio c’è sempre stata l'attenzione agli ultimi: «La carità – scrive infatti il Santo in uno dei suoi Sermoni – è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore». Per questo esorta a combattere avidità, orgoglio, e a praticare le virtù della povertà, generosità, umiltà. Invita a pensare alla vera ricchezza che è quella del cuore.

«Le prediche di Antonio – osserva ancora fra Andrea – non erano mai scontate. Riguardavano vizi e virtù del suo tempo. Entravano nel vivo delle questioni allora aperte, senza risparmiare nessuno. Egli non temeva di affrontare con parole dure i potenti, i governanti. E non risparmiava nemmeno i religiosi che tradivano la loro vocazione con comportamenti distanti dalla Parola di Dio».

Dal suo pulpito sono uscite parole di giustizia, pace, solidarietà e carità. Un Santo colto, accademico che «si è convertito al popolo», ai poveri, alla gente, sottolineava l’indimenticabile don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, dichiarato recentemente Venerabile da papa Francesco. «Antonio – affermava Bello – ha condiviso con la gente l’esperienza delle sofferenze e delle tribolazioni, ha difeso il popolo contro i tiranni, è stato sempre accanto ai più deboli, ha spartito il pane e la tenda con i poveri. Questo è stato il suo vero pulpito».

L'eredità di Antonio

Padre Andrea riconosce nella Basilica il punto centrale di tutta la predicazione di Antonio. «Per noi frati, che custodiamo e diffondiamo il suo insegnamento, questo è un luogo di grande responsabilità, dove il nostro ministero diventa “l’annuncio buono della Chiesa”, nella quale lui per primo si è speso senza riserve».

«Annuncio», che si collega alla parola «ascolto», in un mondo dove il tempo sfugge di mano e tutto sembra sovrastare l’uomo. «Predicare, parlare all’uomo d’oggi, come fece Antonio dal suo pulpito, è una responsabilità e un’opportunità – continua il francescano –. Come il Santo, e ispirati da lui, anche noi abbiamo il compito di sottolineare ciò che non va, che non è secondo l’insegnamento del Vangelo, offrendo allo stesso tempo consolazione e speranza. E, soprattutto, siamo chiamati a tentare, con le nostre parole, di alimentare il desiderio di Dio nei fedeli. Desiderio di bellezza e di bontà che sgorga da Lui e diventa luce e speranza nella nostra quotidianità. Oggi la sfida cui siamo chiamati nel nostro pulpito è proprio questa: cercare parole per dire Dio all’uomo di oggi».

Guardando, in particolare, ai giovani che ancora vedono in Antonio un amico sincero, leale, che non tradisce. Una guida sicura, che indica la strada. Che non ha paura di affrontare le difficoltà della vita, perché ha come riferimento Dio. Grande faro che illumina di Bene la nostra esistenza.

 

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Data di aggiornamento: 25 Gennaio 2022
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