Una cordata per la vita
Nella periferia più degradata di una cupa Torino, all’interno del popolare quartiere «Barriera di Milano», verso la metà degli anni ’80 un raggio di sole fa capolino all’improvviso. Si sprigiona da una piccola chiesetta in legno, con accanto due stanze dove trova spazio l’ascolto ma anche l’aiuto economico, il cibo per l’anima e quello per il corpo. Ad animarla, una giovane di poco più di 20 anni, Giovanna Catelotti, e un sacerdote salesiano di 40 anni, don Gianfranco Laiolo. I due si sono incontrati attorno all’idea di realizzare qualcosa per i tanti giovani che, all’epoca, sulle strade di questo quartiere ci morivano, per overdose o per la disperazione.
Giovanna e don Gianfranco hanno così cominciato a girare per le vie più nascoste, a raccogliere i ragazzi, a nutrirli, ad aiutarli a inserirsi in una delle comunità terapeutiche che stanno nascendo in zona all’epoca. Ma vanno anche a incontrarli in carcere, si recano ai processi in cui loro sono imputati, per non farli sentire soli. Li supportano pure in ospedale, dove sempre in maggior numero muoiono di Aids: vanno a stringere una mano, a portare la biancheria pulita, a dare un abbraccio. Giovanna e don Gianfranco si ritrovano la mattina in chiesetta per la Messa, e poi partono come umili pescatori che gettano una rete invisibile di attenzione e cura per questi giovani rifiutati da tutti.
Tra le molte necessità che emergono ce n’è una più grande di altre: trovare un luogo dove accogliere i ragazzi che vogliono smettere con la droga ma non trovano posto in comunità. «Era il 1990 quando abbiamo individuato una cascina da sistemare, a Ferrere d’Asti – racconta Giovanna –. Costava 160 milioni di lire, tantissimi per noi. Ma abbiamo deciso di affidarci alla Provvidenza e siamo partiti, fondando l’associazione “la Cordata” e diventando anche noi una di quelle che allora si chiamavano “comunità pedagogico-riabilitative”».
I dubbi, però, non mancano: «È proprio questo che il Signore ci sta chiedendo?» si domandano.
La risposta arriva inattesa. Una domenica sera don Gianfranco va coi suoi ragazzi a celebrare Messa in una parrocchia di Torino dove non erano mai stati prima. La stessa sera in quella chiesa passa per caso anche un signore anziano, che ascolta la loro storia e se ne va. Ma la mattina successiva torna dal parroco e gli chiede come fare a rintracciarli. «Quando l’abbiamo visto arrivare a Ferrere abbiamo pensato fosse il padre di uno dei ragazzi – confida Giovanna –: era semplice, un po’ dimesso. Invece ci consegnò 200 milioni di lire, il corrispettivo dell’assicurazione sulla vita di sua moglie, Emanuela Savio, la prima presidente donna della Cassa di Risparmio di Torino, morta per un incidente. Con quei soldi abbiamo fatto molte cose e, grazie a questa somma e ad altre offerte più contenute, in pochi anni siamo passati dalla strada a una comunità, poi a due e a tre».
Trascorrono vent’anni in questo modo, finché non arriva la crisi. «Non ce la facevamo più – ammette Giovanna –. Io avevo sempre mal di testa, nausea, don Gianfranco stava invecchiando. Abbiamo sentito il desiderio di fermarci e di fare maggiormente spazio nella nostra vita alla preghiera, senza stare più in prima linea». L’idea è quella di trasferirsi ad Assisi, luogo in cui l’associazione era solita fare un ritiro spirituale coi ragazzi ogni anno. Trovano così un casolare da risistemare, lo acquistano con un mutuo e vi si trasferiscono. Oltre a Giovanna e alla sua famiglia (marito e due figli) e a don Gianfranco, vanno ad Assisi quei giovani che non hanno più nessuno.
«Dopo due anni, però, – continua Giovanna – abbiamo capito che noi non eravamo dei puri contemplativi: ci mancavano i “nostri” ragazzi, il poter aiutare concretamente qualcuno. E così, grazie al vescovo e all’allora responsabile della Caritas di Assisi, abbiamo individuato una necessità del territorio: l’accoglienza di giovani madri, con i figli, in fuga dalla violenza familiare o condannate a pene detentive e per le quali c’era bisogno di un’alternativa al carcere». Riprende quindi la ristrutturazione della casa: si ricavano 15 stanze, oggi occupate da 8 mamme con 10 bambini dai pochi mesi ai 15 anni di età. Ma ci sono anche uno dei «vecchi» ragazzi di Torino e un adolescente che è stato affidato a Giovanna e a suo marito.
Il covid ha impattato molto su quest’opera: da un anno i volontari che venivano da Torino periodicamente non arrivano più, i lavori sono fermi. Così Caritas sant’Antonio ha deciso di dare il suo contributo perché la speranza di queste giovani mamme e dei loro bambini non sia destinata a spegnersi a causa della pandemia. Grazie alla generosità dei nostri lettori, aiuteremo l’associazione a terminare alcuni lavori di ristrutturazione e, forse, a ricavare qualche altra stanza dove poter accogliere preti, suore, famiglie in crisi che necessitano di un periodo di riflessione ma non possono permetterselo economicamente. È lo spirito di ogni «cordata», dove si va avanti solo insieme perché il problema di uno è il problema di tutti. «In questi anni la Provvidenza non ci ha mai abbandonato – conclude Giovanna –: ora ci sta raggiungendo attraverso di voi».
Segui il progetto su www.caritasantoniana.org
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