Una partita di pallone

Due fratellini, una palla dispersa, un prato gremito di frati e un incontro che fa la differenza. Sono gli ingredienti di questo bel racconto ambientato al tempo del Capitolo delle stuoie.
17 Maggio 2021 | di

I bambini sanno essere invisibili. I frati, invece, si vedevano benissimo. Soprattutto quelli là. Avevano cominciato ad arrivare un po’ per volta, verso la fine di maggio, e si erano accampati nel prato che circondava la piccola chiesa della Porziuncola, vicino ad Assisi. Ognuno arrivava, stendeva sull’erba un telo per dormire, al massimo piantava quattro pali e ci piazzava sopra una stuoia di giunchi per ripararsi dal sole e dalla pioggia. All’inizio le stuoie erano cinque, poi erano diventate cinquanta. Cinquecento. E poi… – Non riesco neanche a contarle tutte – disse Clara. – Secondo me sono un milione – buttò lì il suo fratellino Nando. – Figurati. Però mamma dice che i frati sono almeno cinquemila. – E cinquemila è più di un milione? – Certo, stupido.

Nando tirò su col naso, offeso, ma tanto Clara sapeva che dei frati non gli importava, il fratello aveva occhi solo per il suo pallone che era bello, di cuoio, grande circa come due pugni chiusi. Papà lo aveva cucito per Simone, il loro fratello maggiore, tanti anni prima. Quando Simone era cresciuto, lo aveva passato a Maria, poi a Pippo, a Terzo, a Giovanna, a Clara, e infine era arrivato a Nando. Per il bambino quel giocattolo era circa la cosa più importante del mondo. A lei invece interessava di più quello che succedeva sul prato. Con Nando si era rintanata dietro un folto cespuglio di ginepro, e guardava l’incessante andirivieni di frati che passeggiavano, parlavano e, insomma, sembravano perdere un mucchio di tempo. – Secondo te che fanno? – domandò, più a se stessa che a Nando.

A cena la mamma aveva detto che stavano facendo un «capitolo», ma lei non sapeva che volesse dire, dato che i capitoli sono quelli dei libri e loro non stavano scrivendo niente. Era comunque una cosa importante, infatti gli abitanti di Assisi avevano deciso di aiutare, e ogni mattina arrivavano con i carri pieni di cose da mangiare, come le fave e il cacio e le erbe cotte, e regalavano tutto. – Clara… Gli abitanti si erano messi a costruire anche una casa vera di mattoni per farli stare più comodi, ma il capo dei frati aveva protestato che era meglio dormire all’aperto e si era messo a demolire il tetto.

Avevano dovuto chiamare le guardie per fermarlo. – Clara… Addirittura. Lei invece quel frate lo capiva: meglio dormire su un prato che tra quattro mura soffocanti. – Clara! – Nando. Che c’è? – L’ho perso. – Che cosa hai perso? La voce del fratellino era rotta di pianto. – Il mio pallone. Clara si voltò. Nascosto tra i rami ruvidi del ginepro, Nando aveva due lunghe lacrime che gli scorrevano giù per le guance. E non aveva più la sua palla. – Ma… – balbettò Clara. – Dove l’hai messa? Che fine ha fatto? – Io… non lo so… – Ce l’avevi in mano un attimo fa! – Io…

Clara capì che alzare la voce avrebbe solo fatto piangere Nando più forte, perciò si costrinse a restare tranquilla. – Se mi spieghi tutto, ti aiuto. Un attimo fa stavi guardando la tua palla. Poi, pensaci, cosa hai fatto? – L’ho lanciata via. Clara sospirò. – Ecco, benissimo. E dove? – Lì. E il bambino indicò il grande prato. Clara non credeva alle sue orecchie. – Hai preso la palla e l’hai tirata in mezzo ai frati? E ora come la ritroviamo? – Infatti – singhiozzò – l’ho persa… Altre lacrime gli corsero giù per le guance come cavalli al galoppo e Clara si domandò che fare. In realtà aveva un po’ paura. Se i frati si fossero accorti di loro, li avrebbero rimproverati per avere interrotto quel «capitolo» così importante. Magari avrebbero chiamato i loro genitori.

D’altronde Clara lo sapeva, che i bambini possono essere invisibili. Bastava non fare chiasso, non combinare pasticci. Così prese coraggio, afferrò la mano di Nando e uscirono dal cespuglio. Poi corsero giù verso il prato. – Da che parte hai tirato la palla? – Circa di là. A sinistra, tre frati discutevano. A destra, altri cinque facevano la fila per bere da un secchio d’acqua. I bambini passarono giusto in mezzo, si infilarono sotto una tenda di giunchi, guardarono dietro una pila di casse vuote. Poi tra le radici di un albero. Poi ancora sotto le ruote di un carro. Niente: il prato era troppo grande e c’erano troppi frati. La palla poteva essere proprio dappertutto.

Si sedettero all’ombra di una stuoia per riposare quando, all’improvviso, un grosso martello piovve dall’alto e cadde sull’erba proprio davanti a lei. Un martello! Se fosse finito solo un po’ più vicino, rischiava di romperle la testa. – Oh che disastro! Cosa stavo per combinare! – gridò una voce. Clara alzò la testa e vide che sopra di lei, in cima alla stuoia, era arrampicato un fraticello molto giovane, con la tunica raccolta sopra le ginocchia per non intralciarsi. – Scusatemi tanto – disse Fra Martello. – Mi è proprio scappato di mano… Poi pensavo non ci fosse nessuno, qui sotto. Anzi, in effetti, chi siete? Che ci fate qui? «Invisibilità sparita» pensò Clara.

Ma Fra Martello sembrava più preoccupato di aver rischiato di colpirli, che dell’intrusione. E poi aveva una  voce gentile, anche se parlava in modo strano, strascicando le parole. Di sicuro non era della zona. – Io mi chiamo Clara, e lui è mio fratello Nando. – Anch’io ero chiamato Fernando, un tempo. Sentite, vi va di restituirmi il martello e darmi una mano? Devo piantare questi chiodi per sostenere la tettoia, ma non sono molto bravo… Prometto che non vi darò nessuna martellata. Basta che uno di voi tenga fermo questo palo, e l’altro magari potrebbe aiutarmi a legare quella corda.

Clara decise che Fra Martello aveva più o meno l’età di loro fratello Pippo, e sembrava simpatico. In più lei era molto brava a fare i nodi. Si misero tutti al lavoro, e insieme la sbrigarono in fretta. La tettoia di giunchi, che prima era tutta sbilenca, presto fu solida e ben tesa. – Ecco fatto – disse Fra Martello. – Ora va molto meglio, vi ringrazio. Rivolse a Clara un’occhiata di sbieco. – Però non avete ancora risposto alla mia prima domanda. Come mai siete qui? Tu mi sembri un po’ giovane per essere una monaca… E tuo fratello non è vestito come un frate. Clara rise. – È solo che Nando ha perso una palla, siamo venuti a cercarla. – Una palla di cuoio? Legata stretta con un filo nero? Clara non si aspettava quella descrizione, restò in silenzio a bocca spalancata. Nando invece esclamò: – Sì, certo! È la mia!

Fra Martello frugò in una sacca di stoffa lasciata e tirò fuori la palla di suo fratello. Gliela restituì solennemente. – Ecco qua – disse. – L’ho vista poco prima di incontrarvi e l’ho messa via in attesa di incontrare il legittimo proprietario… Ritrovare le cose perdute è una mia specialità. Fece l’occhiolino a Nando. – Visto che abbiamo finito di lavorare, perché non facciamo una partita? È proprio tanto che non gioco. Poche cose rendevano più felice Nando di giocare a palla, e anche Clara, per la verità, non era certo il tipo da tirarsi indietro. Così si sistemarono a triangolo e iniziarono a lanciarsi la palla al volo con le mani. Fra Martello era piuttosto bravo, e una volta per acchiappare un tiro corto di Nando non esitò a tuffarsi sul prato.

Quando si rialzò, spettinato e con la tonaca tutta piena d’erba, a Clara venne da ridere. E rise anche qualcun altro alle loro spalle. Senza accorgersene, i tre giocatori avevano attirato l’attenzione, e così un gruppetto di frati si era radunato intorno a loro per guardarli divertiti. Uno in particolare aveva una strana barbetta affilata da lupo, e rideva come se fosse la persona più felice del mondo. Aveva gli occhi lucidi di febbre, però, e Clara pensò che non dovesse sentirsi molto bene. Infatti era sostenuto quasi di peso da un altro frate, che era tutto vestito di nero come un corvo.

Fra  Martello, accorgendosi di loro, interruppe subito il gioco, raggiunse Fra Lupo e si inginocchiò ai suoi piedi. – Signor mio – disse. – Aspettavo… Aspettavo con tanta impazienza di conoscervi. – Ma cosa fai? – rispose Fra Lupo. – Alzati in piedi, qui siamo tutti uguali. Tu devi essere quel frate portoghese, non è così? Quello che è stato in Marocco e poi è finito in Sicilia per un naufragio. Fra Martello, stupito, chinò la testa. – È così. Poi ho saputo del capitolo, perciò invece di tornare a casa ho pensato di venire fin qui… Per potervi incontrare…

Fra Lupo annuì. – Ci sono molte cose che vorrei sapere da te, sull’Africa e su quello che hai visto. Prima però credo che tu abbia una partita da finire. O mi sbaglio? Fra Martello guardò Clara e Nando. Rifletté un istante. – Credo di sì. Fra Lupo applaudì, poi si voltò verso Fra Corvo, che gli era rimasto accanto in silenzio tutto il tempo. – Perché non ti unisci a loro, amico mio? L’istinto mi dice che sei un giocatore nato. E io resterò seduto qui a fare il tifo. Nando, che si era stancato di chiacchiere, strinse la palla e fece un lancio teso proprio verso Fra Corvo, che la acchiappò al volo e la spedì a Clara, che la lanciò a Fra Martello. Altri frati si unirono alla partita. E un gruppo di giocatori scalmanati cominciò a correre su e giù tra le stuoie, sotto il sole caldo di maggio, nel grande prato della Porziuncola.
 

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Data di aggiornamento: 18 Maggio 2021
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