Una vita sotto esame
Ed eccoci a giugno! Respiriamo aria di libertà con l’estate che avanza, le vacanze imminenti, e una miriade di eventi all’aperto che accompagneranno le nostre serate per i prossimi mesi. Ma non possiamo tralasciare un aspetto (forse un po’ meno goliardico, ahimè!) che caratterizza il sesto mese dell’anno: infatti, con la chiusura delle scuole tutti i ragazzi e le ragazze che terminano il proprio percorso scolastico devono accingersi a sostenere gli «esami di maturità». Prima o poi, nella vita, tutti «siamo sotto esame» per un motivo o per un altro, ma questo di cui parliamo è un passo fondamentale e, per così dire, «delicato», una soglia da varcare che avvicina i giovani al mondo dell’adultità, delle scelte più o meno consapevoli, delle responsabilità. Finora ho un po’ generalizzato, includendo tutti gli studenti e le studentesse delle scuole superiori. Ma come affrontano questo momento i ragazzi con disabilità? E siamo sicuri che tutti, ma proprio tutti, abbiano la possibilità di «viverlo» appieno?
A tal proposito, vorrei portare l’esperienza di un mio caro amico e collega che opera da diversi anni nel mondo del giornalismo. Mi riferisco ad Antonio Giuseppe Malafarina, il quale, nel 1996, è stato protagonista di un evento sino ad allora unico e che, sebbene sia ormai un po’ datato, si presta comunque a una riflessione «senza tempo» sul diritto allo studio per tutti e tutte. Antonio, come possiamo leggere in un suo recente articolo sulla rubrica InVisibili del «Corriere della Sera», ha potuto svolgere l’esame scritto di maturità «a domicilio». Tale modalità sui generis è stata resa possibile da una scuola che all’epoca era un punto di riferimento per gli studenti con disabilità della provincia milanese, ovvero l’istituto «Paolo Frisi» di Milano. Malafarina scrive a riguardo: «L’esame del 96 […] si avvaleva di un percorso svolto negli anni e che evidenzia il dialogo fra le parti. Dopo aver frequentato per anni, proprio in prossimità dell’esame non potevo recarmi in istituto per l’esame di Stato. La preside fece di tutto per convincere il Ministero a permettermi l’esame a domicilio. Era il bello della disponibilità e del dialogo. La scuola mi veniva incontro, ascoltando le mie esigenze, e io andavo incontro alla scuola, mettendomi a disposizione per ogni tipo di aggiustamento del percorso educativo».
Se in quegli anni si parlava infatti d’integrazione scolastica, perché erano le persone con disabilità a essere inserite e a doversi adattare al contesto-classe, oggi si parla di inclusione, in quanto dovrebbe esserci corresponsabilità tra i vari contesti (classe, scuola e istituzioni) e i ragazzi, con e senza disabilità. Se sono ben saldi gli aspetti poc’anzi sottolineati si può parlare di contesti di «fiducia», disposti ad ascoltare tutti i bisogni e le esigenze, dando a ciascuno la possibilità di valorizzare la propria identità e di accedere a un diritto importantissimo, come quello allo studio. Questa bella testimonianza conferma l’idea che la disabilità possa aprire a nuovi orizzonti da esplorare sempre e comunque, a prescindere dagli anni e dalle epoche storiche in cui ci troviamo. E voi, quando siete stati «sotto esame»? Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.
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