Raffaello svelato
Sono bastati 37 anni, quelli della sua breve ma intensissima esistenza, conclusasi 500 anni fa a Roma, il 6 aprile 1520, per scrivere la parabola di Raffaello Sanzio, un genio immortale, entrato nel pantheon dei più grandi artisti di tutti i tempi. Figlio del pittore urbinate Giovanni Santi (Sanzio deriva dal suo stesso cognome in latino, Sancti) la sua carriera sembra segnata fin dall’inizio.
«Gli esordi di Raffaello pittore rispettano la tradizione quattrocentesca in cui gli sfondi architettonici servivano a costruire scatole prospettiche, all’aperto o al chiuso, in cui collocare i personaggi – osserva Costantino D’Orazio, storico dell’arte, saggista e autore del libro Raffaello segreto. Dal mistero della Fornarina alle Stanze vaticane (Sperling & Kupfer-Pickwick) –. Sotto l’influenza di Perugino, la Crocifissione Mond è un chiaro esempio di come la prospettiva centrale guidi la disposizione dei personaggi in assoluta simmetria».
Nel corso degli anni, inaugura un rapporto tra figura e prospettiva sempre più libero: «Nel paragone tra lo Sposalizio della Vergine di Perugino e quello di Raffaello, è evidente come il giovane urbinate utilizzi lo spazio prospettico come un contenitore, senza intaccare troppo l’armonioso movimento dei personaggi». Questo percorso di emancipazione dalla «schiavitù» della prospettiva trova il suo migliore risultato nella Scuola di Atene. «Qui – puntualizza D’Orazio – la folla di filosofi e allievi si muove nel rispetto di un grandioso sfondo prospettico senza mortificare la singola personalità delle figure».
Raffaello non disdegna di assorbire e, forse, di «copiare» la lezione di altri colleghi come Piero della Francesca, Perugino, Michelangelo, Leonardo. «L’imitazione dei maestri del proprio tempo è un comportamento che appartiene a tutti gli artisti del passato. Ma Raffaello ha la capacità di fondere questi stili per elaborarne uno proprio, come se avesse intuito di ciascuno un limite o un eccesso». Egli mitiga queste soluzioni con la propria mano d’artista. Senza ingenerare alcun tipo di conflitto con i suoi colleghi.
A Firenze tra i grandi
Un aspetto che, a partire dall’inizio del Cinquecento, accomuna tutte le botteghe in cui si pratica la ricerca della verosimiglianza nei gesti e nelle espressioni, è il metodo della posa dei collaboratori: «Per raggiungere il risultato migliore – ricorda D’Orazio –, i maestri si servono dei propri collaboratori per cercare la posa più naturale di un personaggio. Nel caso di Raffaello possiamo notarlo nel bozzetto dell’Incoronazione di San Nicola da Tolentino, dove il Santissimo è stato studiato sul modello di un giovane della cerchia dell’urbinate».
Quando arriva a Firenze nel 1504, ad appena 21 anni, Raffaello è già a capo della bottega che ha ereditato dal padre scomparso. Nella città toscana trova Leonardo e Michelangelo che si contendono il primato del migliore sulla piazza. Ma non fa il terzo incomodo, anzi osserva D’Orazio, «Raffaello frequenta la bottega di Leonardo dove stanno nascendo la Gioconda e la Madonna con il bambino e Sant’Anna, che lo attraggono profondamente. Monna Lisa è il modello su cui imposterà i suoi ritratti femminili, con le dame sedute, le mani poggiate sul grembo, il paesaggio di sfondo e lo sguardo rivolto verso di noi, come nella Dama col Liocorno.
Proprio negli ultimi mesi della sua permanenza a Firenze, nella Sacra Famiglia Canigiani assistiamo all’ingresso dell’energia delle figure di Michelangelo nel lavoro di Raffaello. I corpi sono più monumentali, i gesti più decisi». Tutto materiale che rielaborerà a Roma. A Firenze sviluppa anche in modo originale il tema della Madonna col Bambino, uno dei più richiesti. Attraverso «l’osservazione delle Vergini di Leonardo – nota D’Orazio – raggiunge un livello di grazia e naturalezza mai osservato prima. I suoi personaggi compiono gesti spontanei, i bambini sfuggono all’abbraccio delle madri, le donne si muovono con affettuosa cura».
L’artista sembra quasi divertirsi a caratterizzare i dettagli: sorrisi, sguardi, soffi di vento che scompigliano i capelli. «Dietro a questo gusto per il particolare, c’è l’ascolto delle parole di Leonardo: il primo artista a sottolineare come nella tecnica di un pittore non possa mancare l’attenzione ai “moti dell’animo”». Raffaello si impegna nella ricerca dell’espressione, tanto da raggiungere straordinari livelli di analisi psicologica, «inoltre sviluppa la sensibilità di inserire nei dipinti, soprattutto nei ritratti, dettagli secondari che contribuiscono a svelare la personalità dei suoi soggetti e, spesso, a determinarne l’armonia e l’eleganza».
Viene allora da chiedersi la ragione della somiglianza tra la Dama col Liocorno e Maddalena Strozzi. D’Orazio non ha dubbi: «Prima di tutto perché, per entrambe, il modello è la Gioconda. Poi, attraverso l’analisi di alcuni dettagli, come l’unicorno presente tra le braccia dell’una e sul gioiello dell’altra, si potrebbe dedurre che si tratti della stessa dama raffigurata in due momenti della sua vita: da vergine, e dopo il parto. Ma sono supposizioni perché per la Dama col Liocorno non esistono documenti che suffraghino la sua identità».
Nella città eterna
Quanto incide l’antichità classica nella personalità e nell’opera di Raffaello? D’Orazio è lapidario: «Sempre di più nel corso degli anni. Nel 1519, l’artista scrive una lettera a papa Leone X in cui esprime tutta la sua preoccupazione per il mancato rispetto dei reperti antichi continuamente sfruttati per nuove costruzioni». Siamo ben lontani dalla coscienza che nel Settecento porterà alla nascita dell’archeologia, ma in Raffaello è già ben chiaro il valore che la conservazione delle rovine ha per il futuro. «Lo dimostra anche nei suoi dipinti dove, negli ultimi anni della sua carriera, cominciano ad affiorare citazioni sempre più esplicite dei modelli antichi e delle architetture romane».
Raffaello viene nominato dal Pontefice, responsabile delle antichità di Roma che inizia a misurare con l’obiettivo di produrne un catalogo: «Un progetto che avrebbe forse cambiato la storia della cultura europea se non fosse prematuramente scomparso». Il periodo romano è segnato anche dal lavoro nelle Stanze vaticane: «Ogni racconto è un percorso tra la storia e il presente, grazie all’elemento ricorrente del Pontefice e dei membri della sua corte. Papa Giulio II assiste alla cacciata dei mercanti dal Tempio, quale moderno custode della santità della Chiesa di Roma. Papa Leone X ferma Attila con la sua mano, alle porte della città eterna: passato e presente si fondono, lanciando messaggi politici formidabili».
Un enigma su cui si sono fatte molte congetture riguarda la donna ritratta nel dipinto della Fornarina. «Non sapremo mai con certezza chi sia finché dagli archivi non emergeranno documenti che provano la sua identità – chiosa D’Orazio –. Interpretando le parole del biografo degli artisti, Giorgio Vasari, e i dettagli che Raffaello stesso ha disseminato nel dipinto, possiamo evincere che non era una dama, perché non avrebbe mai acconsentito a farsi ritrarre seminuda. Era una ragazza che Raffaello doveva conoscere bene, se vogliamo dare un significato particolare a quella firma sul bracciale che cinge il braccio della donna, quasi a dimostrare di essere una “proprietà” dell’artista».
Per quanto riguarda l’anello che la donna ha infilato al dito anulare della mano sinistra, lo stesso delle vere nuziali, è un anello di fidanzamento o una prova di matrimonio? «I sospetti nascono dal fatto che questo gioiello sia stato nascosto subito dopo la morte del pittore, per riemergere pochi anni dopo, a seguito di un restauro. Chi l’ha cancellato? E perché? Un’ipotesi affascinante è che questa ragazza ostenti la prova delle sue nozze e si mostri senza veli al pittore perché è proprio il pittore ad averla sposata. Se queste sono ipotesi, il fatto invece che la donna sia rappresentata come una Venere è certo. Dietro di lei si aprono un mirto e un albero di mela cotogna: piante sacre alla dea dell’amore e della bellezza di cui la Fornarina resta una delle rappresentazioni più sensuali della storia dell’arte».
Raffaello è anche uno scaltro uomo di «marketing» e un abile businessman. Escogita, infatti, un modo sorprendente per farsi pubblicità: trasforma i bozzetti preparatori delle opere pittoriche in incisioni che poi fa circolare in Italia e in Europa, lucrandoci e sfruttando quello che oggi chiameremmo il suo «brand». «La collaborazione di Raffaello con l’incisore Marcantonio Raimondi va oltre il classico rapporto tra artista e stampatore – conclude D’Orazio – perché dalla bottega di Raimondi escono incisioni dei dipinti di Raffaello ma anche bozzetti come quello della cosiddetta Deposizione Borghese. L’artista intuisce il potenziale delle sue immagini che devono il loro successo alla loro bellezza e al fatto che recano la sua firma. Un ottimo strumento di autopromozione».
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