Frati, giocolieri del Signore
Noi frati siamo nell’immaginario comune di solito considerati gente allegra, «alla mano» e famigliare, talvolta, addirittura un pò «burloni» sulla scia di san Francesco, nientemeno definitosi come il «Giullare di Dio».
La letizia francescana
Se questo pensiero affonda in parte in alcuni stereotipi che ci riguardano, in realtà rimanda anche ad alcune caratteristiche tipiche della nostra vita e vocazione. La gioia, l’allegria, la letizia non possono non far parte, infatti, delle qualità che deve avere chi riveste l’abito francescano. San Francesco voleva che i frati esprimessero anche all’esterno, nei gesti e nel modo di porsi, tutta la gioia spirituale che li animava interiormente. Ecco come li esortava ad essere: «Si guardino i frati dal mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati come gli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi» (2 Cel 128).
Una volta, avendo notato che un suo frate aveva un volto triste e scuro, gli disse: «Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno. Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni dai frati, lascia la tristezza e conformati agli altri» (2 Cel 128). E la gioia, la semplicità, la letizia costituivano davvero il clima caratterizzante il primo nucleo francescano: gioia e condivisione lieta nella povertà, nella preghiera, nella natura, tra i poveri, nelle prove e anche nelle sofferenze. Nessun peso è, dunque, tanto grave per Francesco e i suoi compagni da poterli distogliere dalla gioia della fraternità, dalla gioia del Vangelo.
La Grazia è più forte di ogni debolezza
L’unico motivo di tristezza per Francesco era il peccato. Ecco come ne parla nelle Ammonizioni (11). «Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato». Ma anche di fronte al peccato, Francesco invita alla gioia e a superare il senso di colpa, ricorrendo con fiducia al Signore e alla sua consolazione e pertanto tutto consegnando a Lui. La grazia di Dio, infatti, è sempre più forte della nostra debolezza: «E in qualunque modo una persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo dl Dio, non più guidato dalla carità, ne prendesse turbamento e ira, accumula per sé come un tesoro quella colpa (Cfr. Rm 2,5). Quel servo di Dio che non si adira né si turba per alcunché, davvero vive senza nulla di proprio. Ed egli è beato perché, rendendo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21), non gli rimane nulla per sé».
La gioia è necessaria per vivere
San Francesco sapeva bene che l’uomo per vivere ha bisogno della gioia e che solo la santa gioia in Dio rappresenta il nostro più forte sostegno contro il desiderio e la bramosia di cercare la felicità altrove, in ambiti ambigui o incerti o illusori o parziali. E credo che al riguardo tutti abbiamo fatto esperienza di solenni «fregature», immaginando di trovare pienezza e senso e soddisfazione lontano da Dio! «Solo il Signore riempie il cuore! Non dimentichiamolo mai!».
La missione dei frati
L’annuncio e la testimonianza della gioia del Vangelo e di appartenere al Signore in un mondo spesso triste e cupo diventa, quindi, anche la missione di Francesco e dei suoi frati. Per questo il Poverello continuamente insisteva con i suoi confratelli che sempre dovevano essere: «i lieti giocolieri del Signore, che devono sollevare i cuori degli uomini e condurli alla gioia spirituale» (Specchio di Perfezione100). Una missione oggi più che mai attuale e alla quale il Signore e san Francesco invitano anche te, mio giovane lettore e amico!
Al Signore Gesù sempre la nostra lode.
fra Alberto – fraalberto@vocazionefrancescana.org