11 Maggio 2025

I tormenti del ’500

Arte, scienza, politica e mecenatismo. Lo studio delle leggi della natura si confrontò con i dogmi della fede all’ombra dei grandi maestri della pittura e della scultura.
Un particolare della Creazione di Adamo, affresco di Michelangelo del 1511, sulla volta della Cappella Sistina a Roma.
Un particolare della «Creazione di Adamo», affresco di Michelangelo del 1511, sulla volta della Cappella Sistina a Roma.
© estelle75 / Getty Images

Il Rinascimento italiano ha conosciuto una straordinaria fioritura delle arti, della scienza, della filosofia. Tre figure emblematiche, legate a quella stagione irripetibile, sono accomunate da un singolare anniversario. In questo 2025 ricorrono infatti i 550 anni dalla morte del pittore Paolo Uccello (1397-1475), e i 550 anni dalla nascita di Michelangelo Buonarroti (1475-1564), aretino come Uccello, e di Cesare Borgia (1475-1507) di Subiaco (Roma), generale, cardinale, politico, figlio del Papa d’origine spagnola Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e di Vannozza Cattanei, genitori anche di quella Lucrezia Borgia avvolta dalla sinistra fama di avvelenatrice. 
Michelangelo e Uccello sono stati due artisti dalle visioni e dai metodi profondamente differenti, ma uniti da un filo sottile: ciascuno dei due, a suo modo, ebbe infatti un ruolo determinante nel panorama del Rinascimento. «Nelle diverse parti d’Europa, l’arte si era sviluppata in modo analogo», spiega Andrea Antonioli, storico e archeologo, saggista e romanziere, autore dei libri Il secolo d’oro del Rinascimento e Cesare Borgia. Il principe in maschera nera, entrambi per i tipi di Newton Compton. «Lo stile “internazionale” dei pittori e degli scultori gotici – i maestri di Francia e Italia, di Germania e Borgogna – era molto affine. Poi venne il periodo delle grandi scoperte, quando gli italiani si volsero alla matematica per studiare le leggi della prospettiva, e all’anatomia per studiare la struttura del corpo umano; scoperte che valsero ad ampliare l’orizzonte della figura dell’artista, ormai non più semplice “artigiano fra gli altri artigiani”. Era nato il bisogno di esplorare i misteri della natura e di ricercare le leggi segrete dell’universo. Da qui iniziò la fortuna e la fama di alcuni straordinari maestri che, agli inizi del Cinquecento, riuscirono a raccogliere le inquietudini del loro tempo per trasfigurarle in opere di grande respiro monumentale e di altissimi valori formali».

Non solo. «Questo traguardo della pittura italiana venne raggiunto attraverso la messa a punto di tecniche esecutive raffinatissime e di particolari strumenti intellettuali», aggiunge Antonio Forcellino, uno dei maggiori studiosi europei di arte rinascimentale oltre che restauratore, storico dell’arte e scrittore. Per i tipi di HarperCollins ha dato alle stampe la collana «Il secolo dei Giganti» dedicata al Rinascimento, con cinque titoli: Il cavallo di bronzo, Il colosso di marmo, Il fermaglio di perla, Il papa venuto dall’inferno, Il cielo di pietra, concentrandosi, in particolare, sulle figure di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello e Tiziano. «La prospettiva – prosegue Forcellino – è uno strumento adatto a rappresentare lo spazio reale, e a inserirvi le figure umane che prendono sembianze credibili e gesti più naturali. Michelangelo fu rivoluzionario poiché inventò un linguaggio suo, potentissimo sul piano espressivo, dato che domina come nessun altro la rappresentazione del corpo umano, spinto fino al limite dell’espressione eroica». 

La prospettiva di Paolo Uccello

Paolo di Dono di Pratovecchio (Arezzo), detto Paolo Uccello – secondo lo storico e artista cinquecentesco Giorgio Vasari per la sua abilità di riempire i vuoti prospettici dipingendo in particolare i volatili –, crebbe con Donatello alla bottega di Lorenzo Ghiberti. Uccello è noto per le sue innovazioni nella prospettiva geometrica, un concetto che avrebbe rivoluzionato la pittura e la scultura dell’epoca. Sebbene fosse meno interessato alla rappresentazione della figura umana in senso stretto, il suo approccio innovativo alla prospettiva ebbe un impatto fondamentale sulla comprensione spaziale dell’arte. «Era un pensatore come Leonardo, ed è stato uno dei primi pittori a sperimentare e ad applicare la tecnica di rappresentare l’illusione dello spazio tridimensionale su una superficie bidimensionale, creando un senso di profondità e spazio nello sfondo delle sue opere, con colori vivaci e contrastanti – osserva Antonioli –. Paolo Uccello fu anche un eccellente mosaicista, come dimostrano le opere eseguite nella Basilica di San Marco a Venezia. La sua personalità e il linguaggio artistico innovativo, derivato per certi versi dall’aver lavorato con Ghiberti, non solo influenzarono Michelangelo e altri artisti, ma contribuirono a definire gli standard estetici dell’arte rinascimentale e dell’intera arte occidentale nel suo complesso».

Ci sono opere di Uccello che denotano i segni dello sviluppo della pittura rinascimentale in cui egli sperimentò l’uso innovativo della prospettiva per rendere le scene più realistiche e coinvolgenti: «eloquente è la Battaglia di San Romano commissionatagli dalla famiglia Bartolini Salimbeni – puntualizza Antonioli –. La trilogia si rifà allo scontro del 1° giugno 1432 tra Firenze e Siena. In quest’opera l’approccio rivoluzionario alla prospettiva è evidente nei dettagli delle figure umane, degli animali e degli oggetti. Senza dimenticare San Giorgio e il Drago che utilizza la prospettiva fondendo stili gotici e rinascimentali. E poi Il Monumento equestre a Sir John Hawkwood, (italianizzato in Giovanni Acuto) all’interno della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, in cui la posizione inclinata del cavallo e la prospettiva convergente contribuiscono a creare l’illusione del movimento».

A influenzare Uccello fu anche Masaccio. «Questo – afferma Forcellino – può ravvisarsi nel naturalismo descrittivo che si fa strada nelle sue battaglie e in una certa solidità dei corpi che Paolo Uccello introduce nella sua organizzazione prospettica. Soprattutto il monumento a Giovanni Acuto sembra molto vicino a Masaccio. In questo dipinto, Uccello mostra la statua del cavaliere in un difficilissimo scorcio prospettico, ma nello stesso tempo restituisce una verità dei corpi tanto del cavallo che del cavaliere che non era ancora frequente né a Firenze né in Italia. Inoltre è fortissima l’ascendenza “classica”, quell’equilibrio di gesti e di espressioni che caratterizza la rinascita italiana ispirata all’arte antica, molto presente sul territorio della penisola».

Michelangelo. L’arte della perfezione 

Possiamo riscontrare analogie o influenze artistiche, filosofiche, pittoriche tra Paolo Uccello e Michelangelo? «Credo che la più eloquente analogia espressiva dell’arte dei due grandi maestri sia nel tema della creazione – prosegue Antonioli –. Ma rispetto a Uccello, in Michelangelo emerge la monumentalità, soprattutto nelle proporzioni, le stesse che Uccello aveva privilegiato ed elaborato decenni prima. Lo vediamo, per esempio, nella decorazione del lunettone nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella a Firenze, eseguita da Uccello con la Creazione degli animali e Creazione di Adamo, e con il riquadro sottostante della Creazione di Eva e il Peccato originale. Le proporzioni appaiono già molto ben curate, nonostante siamo ancora nella prima metà del Quattrocento, come si vede dal corpo nudo di Adamo, pesante e monumentale, nonché anatomicamente proporzionato. Quando Michelangelo illustra le scene bibliche al centro della Cappella Sistina, ammiriamo il Signore che, con gesto possente, chiama alla vita le piante, i corpi celesti, gli animali e l’uomo. Sono significative alcune figure tratte dall’album di schizzi di Michelangelo in cui possiamo scoprire con quale cura e precisione egli annotasse e studiasse i suoi modelli, in primis il gioco di muscoli osservato e riprodotto come mai era accaduto prima. Ma colpisce il fatto che nessun artista – Paolo Uccello compreso – prima di Michelangelo aveva raffigurato Adamo chiamato in vita al tocco della mano di Dio, nel tentativo “sovrumano” di avvicinarsi con tanta forza e semplicità alla grandezza del mistero della creazione».

Michelangelo resta una delle figure più iconiche della storia dell’arte. Nato a Caprese (Arezzo), si distinse fin da giovane come un prodigioso scultore, pittore, architetto e poeta. La sua opera è un inno alla perfezione e alla potenza della forma umana, ispirata alla filosofia neoplatonica che esaltava l’ideale di bellezza attraverso la ragione, la proporzione e l’armonia. «A mio parere – suggerisce Forcellino – Uccello non fu uno degli artisti ai quali Michelangelo guardò. La prospettiva e in genere la narrazione di Uccello è molto astratta e ha fondamenti matematici mentre Michelangelo sviluppò essenzialmente una narrazione incentrata sul corpo umano maschile, e sulle sue infinite possibilità espressive. Uccello è un pittore influenzato dallo stile gotico elegante di provenienza nordica». Ma c’è un altro gigante che fa propria la lezione di Paolo Uccello. È Leonardo da Vinci che, a sua volta, influenza Michelangelo. «Leonardo – sottolinea Forcellino – è molto interessato alla rappresentazione prospettica e matematica del mondo che, nella sua ricerca, diventa quasi una disciplina a parte. Paolo Uccello per Leonardo è molto più importante che per Michelangelo. Le influenze di Leonardo su Michelangelo possono individuarsi nella luce e negli studi di ottica. Il tema della luce, sebbene in maniera meno strutturata, è molto presente nell’opera di Paolo Uccello, e arriva a Michelangelo attraverso Leonardo, così come arriva a tutti i pittori della terza generazione e del Rinascimento fiorentino. La bottega del Ghirlandaio, dove crebbe Michelangelo, come le altre botteghe fiorentine selezionava e migliorava le proposte delle generazioni precedenti stabilendo quella continuità di stile rappresentativo che permetteva di riconoscere il contesto “toscano” di un’opera, proprio per la razionalità dello spazio rappresentato e la naturalezza solenne delle figure umane che lo abitano. In questo senso, Ghirlandaio fece tesoro anche della ricerca di Paolo Uccello, spingendola più avanti nella credibilità naturalistica laddove Michelangelo la prenderà e la migliorerà». 

Il Buonarroti è famoso come pittore, scultore e architetto. Eppure sorprende di lui una vena letteraria che si esprime nelle famose Rime, e in una serie di epistole che ci svelano un artista sì coinvolto nella rappresentazione delle verità di fede, ma anche intimamente tormentato da una profonda inquietudine spirituale, quasi fosse combattuto tra i dogmi di fede da accettare, e il bisogno di trovare una spiegazione non dogmatica della natura umana e delle leggi stesse del creato. «Credo che la vicenda umana e spirituale di Michelangelo sia unica nel panorama rinascimentale per le caratteristiche molto profonde della sua devozione – osserva Forcellino –. Negli ultimi anni della sua vita, Michelangelo si legò alla poetessa Vittoria Colonna e a un gruppo di innovatori chiamato “Spirituali” che cercavano una mediazione con la riforma luterana. Egli si impegnò in questa ricerca mettendo anche a rischio la propria vita. La profondità con la quale Michelangelo sentì la fede “viva” nel sacrificio di Cristo è comparabile con la profondità con la quale per tutta la sua esistenza sentì in modo assoluto il proprio destino di artista che, alla fine, lascerà spazio solo alla fede in Cristo». 

Lo spregiudicato Cesare Borgia

Papa Alessandro VI, padre di Cesare Borgia – detto il Valentino –, è legato al rilancio del mecenatismo a Roma. Durante il suo pontificato, il cardinale Jean Bilhères de Lagraulas, ambasciatore di Carlo VIII presso la Santa Sede, commissionò proprio a Michelangelo la celeberrima Pietà. Mentre il Pinturicchio realizzò, tra il 1492 e il 1495, un ciclo di affreschi in stile rinascimentale negli appartamenti di papa Borgia. È dunque lecito immaginare un qualche contatto fra Cesare Borgia e Michelangelo? «L’unico legame che mi sembra di poter riconoscere tra i due è costituito dalla scultura di Amore dormiente che sarebbe stata in possesso di Cesare Borgia, e da lui regalata a Isabella d’Este. Poi, però, se ne persero le tracce – afferma Forcellino –. Ho sempre pensato che la forte spiritualità della prima Pietà di Michelangelo sia una risposta alla cupezza e alla spregiudicatezza dell’ambiente romano nel quale lo scultore si trovò immerso dopo il suo arrivo a Roma, nell’estate del 1497, proprio negli anni e nei mesi nei quali iniziarono le peggiori atrocità di Cesare e di suo padre. Le committenze dei Borgia sono di carattere principesco e celebrativo, e tengono fuori ogni problematicità. Michelangelo non poteva andare bene per loro. Quando Cesare Borgia, intorno al 1503, mise a rischio la libertà di Firenze, Michelangelo lo sentì certamente come un nemico personale essendo molto coinvolto nella celebrazione e nella difesa delle libertà repubblicane». 

La vita di Cesare Borgia è legata a un periodo di forte espansione dello Stato Pontificio e di consolidamento del potere temporale della Chiesa, soprattutto in Romagna e nelle Marche, con Cesare luogotenente del re di Francia Luigi XII, e con la Repubblica di Venezia come alleata. Gli storici sostengono che questa azione politico-militare riportò stabilità e giustizia nelle terre sottomesse. Cesare era stato destinato fin da giovane alla carriera ecclesiastica. Suo padre, papa Alessandro VI, lo aveva investito della porpora cardinalizia, anche se Cesare, dopo la morte di suo fratello Giovanni, duca di Gandia, era ritornato allo stato laicale. Oggi sarebbe impensabile una «carriera» del genere. Cesare Borgia era un soldato che veniva da studi umanistici, si era laureato in giurisprudenza all’Università di Pisa, era un uomo sensibile alla letteratura e alle arti. «Da giovinetto – ricorda Antonioli – era molto intelligente e cordiale. Così ci viene descritto nei dispacci di alcuni ambasciatori che lo incontrarono e si confrontarono con lui. Fu proprio negli anni dell’Università che Cesare cominciò a diventare molto più incline alla vita mondana e ai piaceri, dunque ai giochi, alle competizioni e alle donne dalle quali pare fosse molto ambito. Tra il 1496 e il 1497 maturò in lui l’ambizione di diventare un condottiero, e di possedere un proprio regno nell’Italia centrale, per cui la rinuncia al cardinalato, la morte del fratello Giovanni, e altri eventi non furono che le premesse di questa aspirazione che in lui stava già covando da tempo. Lo dimostra anche la spada tutta decorata che si fece forgiare in quel periodo».

Cosa desiderava davvero papa Alessandro VI per suo figlio, e perché Cesare diventò un personaggio chiave della politica a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, anche alla luce dei rapporti che Cesare stesso riuscì a intessere con la Corte di Francia, dove regnava Luigi XII, sposando Carlotta d’Aragona? «Dopo la morte del duca di Gandia, figlio di papa Alessandro VI, quest’ultimo dovette rivedere un po’ tutti i suoi piani – spiega Antonioli –. Volendo consolidare i rapporti politici con gli Aragona, cercò di far sposare Cesare con Carlotta d’Aragona, figlia di Federico I. In tal modo Cesare avrebbe potuto ambire al trono del Regno di Napoli. Ma il sodalizio fallì, così re Luigi XII mise a disposizione del nuovo duca di Valentinois (perciò Cesare è detto il Valentino, ndr) un’intera corte di belle donne, facilitando la sua scelta che ricadde sulla nobildonna Carlotta d’Albret. Cesare ebbe da lei una figlia, ma la duchessa non si trasferì mai in Italia per restare accanto al marito, sempre impegnato a costruire la sua scalata al successo – conclude Antonioli –. Senza contare, poi, le innumerevoli relazioni amorose che Cesare intrecciò con tante donne, cortigiane o sposate, in alcuni casi facendole addirittura rapire».

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Data di aggiornamento: 11 Maggio 2025
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