Rifocalizziamoci sulla crisi ambientale
La Terra è la nostra casa comune, va ascoltata, tutelata, custodita. A maggior ragione oggi, in un mondo devastato da guerre, stragi di civili, dalla «catastrofe morale» di bambini che muoiono di fame in territori sotto assedio. Al di là di tutto, emerge una netta contrapposizione tra potenti che pensano solo a distruggere e popoli che ne subiscono le conseguenze. Tuttavia, i conflitti armati non sono l’unica minaccia per il nostro pianeta. C’è un altro fondamentale fattore di distruzione che rischia di passare in secondo piano: quello dei disastri ambientali.
Questa estate in Europa un milione di ettari di terreno (superficie superiore a quella della intera isola di Cipro) è andato letteralmente in fumo, devastato da incendi boschivi che hanno colpito soprattutto Spagna e Portogallo ma anche Romania, Italia, Grecia e Francia. Negli ultimi vent’anni, con queste dimensioni, non era mai accaduto. Il problema è che in molte zone del Mediterraneo le temperature hanno raggiunto i 40-45 gradi, una condizione che ha reso le piante prive della loro naturale umidità, esponendole al fuoco. Nel mondo questo tipo di situazione non è una novità. A gennaio 2025 era stata colpita la California con Los Angeles assediata dalle fiamme mentre nella tarda primavera di quest’anno è toccato a vaste zone del Canada. Portate dal vento, le ceneri di quei roghi hanno raggiunto persino le nostre Alpi, così come quelle dei fuochi spagnoli, in agosto, si sono spinte fino in Scandinavia. Un segno inequivocabile della dimensione globale del problema.
Restando all’estate europea, ci sono state molte vittime e migliaia di persone evacuate. Qualcuno ha calcolato che la combustione delle foreste ha generato emissioni di CO2 pari a 37 milioni di tonnellate, un valore simile a quello prodotto dal sistema industriale di una media nazione europea. Oltre a questo, c’è da considerare che le polveri ultrafini (PM2.5) diffuse dagli incendi risultano estremamente nocive per la salute, favorendo malattie cardiovascolari e respiratorie.
Non va dimenticato poi che altri «eventi estremi» incombono su di noi: a «ondate di calore» si alternano tempeste, uragani, alluvioni. Nel solo 2024 l’Italia ha registrato danni per oltre 10 miliardi di euro, nell’anno precedente si sono contate purtroppo pure decine di vittime. L’Europa è il continente che si sta scaldando più velocemente, il primo ad aver superato un aumento delle temperature di un grado e mezzo rispetto all’era preindustriale. Su di noi esercita un ruolo particolare la «tropicalizzazione» delle acque del Mediterraneo con crescita inevitabile dell’energia e dell’umidità presenti nell’aria.
Sono cose ben note, ma è sul da farsi che nel mondo le strade si dividono, in quanto operano i meccanismi della rimozione, della negazione e di interessi assai potenti. Il punto ormai non è più solo quello di limitare le emissioni dei gas serra ma di progettare il nostro adattamento a questa nuova condizione ambientale. È necessaria una diversa gestione del territorio, tenendo conto del moltiplicarsi delle emergenze. I cambiamenti climatici non sono un problema delle generazioni future, ma una questione che si pone qui e ora.
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