Talenti che se ne vanno
Esiste un’Italia plurale che si muove verso l’estero e che torna dall’estero, ma che si sposta anche dentro i confini nazionali. In vent’anni sono stati più di 1.600.000 gli espatri di cittadine e cittadini italiani a fronte di 826 mila rimpatri. Si tratta in prevalenza di giovani provenienti da Lombardia, Nordest e Mezzogiorno d’Italia che hanno scelto principalmente l’Europa. Possiamo sintetizzare in questi termini le conclusioni della XX edizione del RIM («Rapporto Italiani nel Mondo 2025») della Fondazione Migrantes, organismo della Cei (Conferenza episcopale italiana), curato da Delfina Licata.
Secondo i dati dell’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), riferiti al 1° gennaio 2025, sono ben 6.400.000 gli italiani che vivono fuori dai confini nazionali, cioè quasi 1 italiano su 9. Una realtà che può essere ormai considerata come la ventunesima regione dello stivale.
«Dopo la crisi del 2008, gli espatri sono cresciuti costantemente, toccando nel 2024 il record storico di 155.732 partenze – sottolinea il Rapporto –. L’Europa resta il baricentro della mobilità italiana (76 per cento degli espatri), con Regno Unito, Germania e Svizzera in testa nelle destinazioni. Accanto ai giovani, tra gli italiani residenti all’estero crescono anche le donne (+115,9 per cento in vent’anni, dati Aire); e gli over 65, quest’ultimo dato si riferisce a nonni o lavoratori che raggiungono figli e nipoti all’estero.
La mobilità italiana è legata all’annosa «fragilità strutturale dell’Italia e a un sistema bloccato, fatto di lavoro precario, disuguaglianze territoriali, mancato riconoscimento del “merito”, ma contraddistinta anche da una dimensione di scelta, di curiosità e di progettualità personale».
Insomma, non sono solo i famigerati «cervelli» a fuggire. Per questo, il Rapporto sollecita a «superare la visione riduttiva e quasi tragica dell’espatrio e della mobilità come mera “perdita, strappo, trauma”». La ricerca sul campo ha infatti dimostrato che non partono solo ricercatori e laureati, e che prevalgono i diplomati. Tutti, ciascuno a suo modo, sono talenti.
La questione della mobilità, da e verso l’Italia, pone anche delle sfide pastorali e non solo politiche. Papa Francesco, per la pastorale migratoria, aveva indicato quattro verbi-guida: accogliere, proteggere, promuovere, integrare, applicati talvolta anche ai migranti italiani. Ma, «affinché tutti i migranti diventino effettivamente soggetti attivi di evangelizzazione (papa Leone XIV l’ha definita missio migrantium) – osserva il Rapporto – i quattro verbi proposti da papa Francesco dovrebbero essere completati da altri quattro: accogliersi, interpellarsi, valorizzarsi, condividere».
«Questa Italia – ha dichiarato monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Cei e della Fondazione Migrantes – non può avere come risposta solo il decreto-legge del 28 marzo 2025, convertito nella legge n. 74 del 23 maggio 2025, che ha introdotto modifiche al principio dello ius sanguinis, limitando la cittadinanza automatica a due generazioni di discendenza, con qualche eccezione. Al contempo, è stato bocciato un referendum sulla riduzione dei tempi della cittadinanza da 10 a 5 anni, anche per il 65 per cento dei bambini nati in Italia da genitori di altre nazionalità e che frequentano le nostre scuole: uno strabismo legislativo».
Ne parliamo con Delfina Licata, curatrice del «Rapporto Italiani nel Mondo 2025».