29 Luglio 2025

Noi ci siamo! E l’Italia?

Sono 120mila e lavorano in tutto il mondo in vari settori. Sono i cervelli italiani espatriati. A Bruxelles, in occasione della loro XIX Conferenza, hanno suonato la sveglia a Roma. Per l’ennesima volta.
Noi ci siamo! E l’Italia?

© sankai / Getty Images

La XIX Conferenza dei ricercatori italiani nel mondo, svoltasi a Bruxelles, nel cuore delle istituzioni europee e sotto l’egida del Parlamento europeo, ha rappresentato il segnale forse più forte e concreto lanciato in questi anni alla politica italiana. In Belgio, infatti, si sono riunite le migliori competenze scientifiche internazionali: una comunità globale di studiosi e docenti universitari italiani di altissimo profilo che rappresentano il meglio dell’ingegno tricolore, purtroppo residente e operante all’estero, dato che l’Italia, dopo averli formati e «cresciuti», li ha visti partire verso altri lidi dove hanno portato il loro contributo grazie a migliori prospettive di lavoro e di carriera. A questa diaspora ingravescente che conta decine di migliaia di «cervelli in fuga», ma sarebbe meglio dire «cervelli espatriati», la politica italiana, da anni, non è in grado di proporre una progettualità adeguata a favorire il ritorno in patria di queste eccellenze delle cui competenze, alla fine, si giovano altri Paesi, spesso nostri concorrenti sul piano dell’innovazione, della tecnologia e delle scienze.

Vincenzo Arcobelli, fondatore della Conferenza, di cui ha presieduto i lavori, è membro del Cgie (Consiglio generale degli italiani all’estero) e presidente del Ctim (Comitato tricolore per gli italiani nel mondo). Nel suo intervento ha ricordato che «all’estero ci sono circa 120mila ricercatori italiani, 15mila solo negli Stati Uniti». In 13 anni, dal 2011 al 2024, la partenza di 550mila giovani, tra i 18 e i 34 anni, ha prodotto un danno all’Italia, in termini economici, di 134 miliardi di euro (fonte Fondazione Nord Est). Come si può invertire questa tendenza? Secondo Arcobelli occorrono alcune azioni strategiche, non più dilazionabili, da parte del governo italiano. Innanzitutto sono necessari più fondi da destinare alla ricerca, poi bisogna stabilizzare contrattualmente i ricercatori, promuovere la meritocrazia (in un Paese, come l’Italia, ancora afflitto da nepotismo e baronie universitarie), sviluppare sinergie tra università e impresa, modernizzare le infrastrutture, sburocratizzare le procedure amministrative, e utilizzare in modo sistematico il programma quadro «Horizon Europe», destinato alla ricerca e all’innovazione per il periodo 2021-2027.

In questo contesto di luci e ombre, un dato positivo riguarda almeno lo stanziamento di 50 milioni di euro da parte dell’Italia a favore di infrastrutture di ricerca e del rientro delle nostre eccellenze, a dispetto, per esempio, degli Stati Uniti, dove l’attuale politica federale sta producendo una fuga di docenti e studenti verso l’estero. Tuttavia, affinché siano efficaci, tali interventi devono essere strutturali e non occasionali, così da trasformare il mondo della ricerca in Italia, in un polo «attrattivo, competitivo e inclusivo».

Fare rete per competere

Gabriele Andreoli, presidente di Iasc (Institute for advanced studies and cooperation), aprendo i lavori della Conferenza di Bruxelles ha introdotto gli interventi istituzionali. Tra essi, anche quelli della vicepresidente del Parlamento europeo, Antonella Sberna, del vice-rettore dell’Université Libre de Bruxelles Anne Weyembergh, del presidente della Texas Scientific Italian Community Andrea Giuffrida, del coordinatore dell’evento Antonio Cenini, oltre che quelli dell’ambasciatore d’Italia in Belgio Federica Favi, e del ministro italiano della Salute Orazio Schillaci, il quale ha partecipato con un videomessaggio. Anche gli interventi dei massimi rappresentanti della camera, del senato e del governo italiano sono stati improntati al riconoscimento dell’effettivo valore strategico della ricerca scientifica e della cooperazione internazionale. La presenza di migliaia di cervelli italiani all’estero va letta anche come un’opportunità per sviluppare un numero significativo di partnership tra il nostro Paese e altre realtà nel mondo, con progetti di cooperazione che consentano all’Italia di avere un ruolo più rilevante sul fronte dell’innovazione scientifica e tecnologica. 

Il professor Simone Lucatello del Conacyt (Consiglio nazionale delle scienze e della tecnologia del Messico) e coordinatore del report Geo7 (programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) ha sottolineato una delle problematiche ricorrenti: «Serve un rapporto più pratico, chiaro e continuativo tra ricercatori all’estero e istituzioni italiane, capace di costruire una vera visione di lungo periodo». Oltre a Lucatello sono intervenuti anche Cristina Bettin (Israele), Ilaria Pagani (Australia), Rossana De Angelis (Francia), Carla Molteni (Gran Bretagna), e Fabio Pinna (Belgio).

Innovazione e originalità

Al centro della Conferenza, quattro ambiti strategici in cui operano con successo i nostri ricercatori all’estero: aerospazio, tecnologie, medicina e scienze umane. Dal settore aerospaziale è emerso l’apporto determinante dei ricercatori italiani nei progetti dell’Agenzia spaziale europea e della NASA americana, come ha evidenziato il coordinatore Stefano Boccaletti che ha moderato gli interventi di Adriano Ghedina, Cesare Brava e Claudia Paladini. In questo contesto sono rilevanti i nostri contributi che vanno dai telescopi spaziali alle missioni interplanetarie, con una community tricolore assai integrata e vivace in ambito internazionale. 

Un discorso analogo vale anche per l’innovazione tecnologica. Timoteo Carletti e Simone Napolitano hanno affrontato i temi delle reti complesse e dei cosiddetti materiali amorfi (solidi le cui molecole sono distribuite in modo casuale), grazie agli interventi di Itamar Procaccia, Riccardo Muolo, Charo del Genio e Ludovico Minati; e poi l’ambito della bioeconomia circolare (che punta a conciliare crescita economica, nuovi posti di lavoro, tutela dell’ambiente e salute sia umana che animale); dei digital twins (repliche virtuali di oggetti reali o di processi per studiarne e migliorarne il comportamento); della spettroscopia fotoacustica (utile, per esempio, nel rilevare sostanze contaminanti). A fare il punto su queste ricerche sono stati Alessandro Parente, David Cannella, Luca Fiorani, Elio Tuci, Simone Lucatello e Angelo Pinto.

Anche sul fronte della medicina, l’apporto italiano nel mondo è sempre ai vertici. Andrea Giuffrida e Maddalena Parafati hanno curato un panel specifico con autorevoli relatori: Antonio Colaprico, Pietro Coletti, Enkelejda Miho, Eleonora Leucci, Viviana Vella, Antonella Fioravanti, Sara Piccirillo e Casimiro Gerarduzzi che hanno delineato un bilancio assai lusinghiero del lavoro delle eccellenze italiane in questo settore: dalla medicina omica che si occupa dei sistemi biologici a livello molecolare, a quella traslazionale che unisce ricerca scientifica e pratica clinica; dalla neuroinformatica, attiva nell’utilizzo dei dati delle ricerche delle neuroscienze, all’oncologia più avanzata. 

Spiritualità e IA

Un capitolo significativo della Conferenza di Bruxelles è stato dedicato all’umanesimo e all’Intelligenza artificiale nel cui ambito il dualismo etica e benessere è oggi al centro del dibattito internazionale per le implicazioni e le ricadute che ha su tutti noi. In particolare è stato analizzato il rapporto tra spiritualità e Intelligenza artificiale. Il professor Michele Vincenti dell’UCW (Università Canada West) di Vancouver ha osservato che, nel corso dei secoli, gli Esercizi Spirituali e la Lectio Divina di sant’Ignazio di Loyola si sono dimostrati strumenti utili per accrescere la consapevolezza di sé, lo sviluppo della leadership e il discernimento etico. Eugenia Cenini, ricercatrice in Scienze pedagogiche all’Università di Espírito Santo, in Brasile, ha presentato il suo progetto «Mens Sana», volto a valutare il benessere fisico e psicologico e la qualità della vita attraverso un approccio integrato che include parametri di salute fisica, psicologica e genetica.

La XIX Conferenza dei ricercatori italiani nel mondo ha confermato, nel suo complesso, la dinamicità di questa community attiva in molti Paesi del mondo, dotata di una vitalità e di una capacità di innovazione che dovrebbe essere un fattore da imitare anche in Italia. Il nostro Paese rischia infatti di essere tagliato fuori dallo sviluppo se non saprà adattarsi alle sfide del mercato, e soprattutto se non sarà in grado di fare rete tra il «Sistema Paese Italia» e il suo capitale umano all’estero. Ora tocca alla politica dimostrare concretezza e coerenza. Intanto i ricercatori italiani si sono dati appuntamento a Roma per la XX edizione della Conferenza, con l’auspicio di poter finalmente arrivare a incidere sugli orientamenti e sulle scelte del governo italiano, confrontandosi, in casa loro, con le istituzioni del nostro Paese.

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Data di aggiornamento: 29 Luglio 2025
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