Francescani del Sol Levante
Tokyo è la città più popolosa al mondo (e una delle più grandi), ma, grazie a un sistema di trasporto pubblico prodigioso, andare da un punto A a un punto B qualsiasi è un gioco da ragazzi. Nel nostro caso, il punto B non fa nulla per nascondersi: in una distesa di grattacieli, templi shintoisti, parchi e konbini – i minuscoli supermercati aperti 24 ore su 24 a ogni angolo –, la piccola chiesa cattolica di Akabane è l’unico edificio in stile gotico.
Al termine della Seconda guerra mondiale qui c’erano solo macerie. Le fabbriche di ordigni bellici avevano reso Akabane, distretto ferroviario del quartiere Kita, quindici chilometri a nord di Tokyo, un bersaglio frequente dei bombardamenti americani. È proprio qui che, nel 1947, arrivarono, provenienti da Nagasaki, due frati conventuali: fra Donato Gocinski e fra Zeno Zebrowski. Quest’ultimo, polacco, giunto in Giappone nel 1930 assieme a san Massimiliano Kolbe, fu artefice di numerosi orfanotrofi, opere di carità e centri di assistenza nei cosiddetti «Villaggi delle formiche», le Ari no machi, baraccopoli sorte tra le rovine di chi aveva perso tutto sotto le bombe.
Nella Ari no machi di Tokyo, negli anni Cinquanta, padre Zebrowski collaborò con la venerabile Elisabetta Maria Satoko Kitahara, morta a 29 anni nel 1958, consumata dalla tisi e dall’infaticabile servizio. Ad Akabane i frati conventuali trasformarono in convento un piccolo edificio in mattoni, in parte scampato alle bombe: nel 1949 fu istituita la parrocchia e nel 1951 venne terminata la chiesa, più piccola e più povera rispetto ai progetti iniziali per via dell’impennata dei prezzi dovuta allo scoppio della guerra di Corea.
Testimoni del Vangelo
In una fresca domenica di inizio ottobre, mentre il quartiere sembra sonnecchiare, la piccola chiesa di legno intitolata a Maria Assunta ci accoglie in un mélange di stili: pare che un edificio tradizionale giapponese e una chiesetta francescana dell’Europa orientale abbiano scelto di fondersi sotto i riflessi colorati delle vetrate gotiche. A destra e a sinistra dell’altare maggiore, su cui svetta una pala raffigurante la Madonna, si trovano i volti di san Francesco d’Assisi e di san Massimiliano Kolbe, dei quali la parrocchia espone con orgoglio le reliquie: rispettivamente un frammento osseo e una ciocca di capelli.
Sono le otto del mattino, ma pian piano i fedeli – anziani in maggioranza, ma non mancano nemmeno i giovani –, dopo aver salutato la statua di san Massimiliano Kolbe e la foto di padre Zeno, riempiono la chiesa. Alle 8.30 inizia la recita del rosario con un segno di croce. Già, la croce: simbolo venerato dalle masse convertite a metà Cinquecento dalla predicazione di san Francesco Saverio, ma anche simbolo da calpestare in segno di apostasia pochi decenni dopo, quando il Giappone scelse di chiudersi e di combattere il cristianesimo.
Potremmo dire che in Giappone ci sono due modi di pensare alla figura di Gesù: quello di Ieyasu Tokugawa e quello di Shūsaku Endō. Il primo, Ieyasu Tokugawa, lo shogun che unificò il Giappone sotto la sua autorità, rappresenta il potere che vede in Cristo un corpo estraneo, una minaccia all’ordine e alla coesione del Paese, un virus da debellare. Il secondo, Shūsaku Endō – cattolico e tra i più grandi scrittori del Novecento – riconosce in Gesù le virtù più elevate per i suoi connazionali: la compassione silenziosa, il segno di un Dio che si fa prossimo nell’umiliazione.
Cattolici: minoranza ma importanti
Alle nove la processione d’ingresso, guidata da chierichetti e chierichette con croce, turibolo e navicella, dà inizio alla Messa. Presiede fra Takayuki Taira – nome di battesimo Francesco – che ha imparato bene l’italiano ad Assisi. La liturgia è semplice ma curata: ogni gesto è essenziale e armonioso, dagli inchini allo scambio della pace, alle file ordinate, banco per banco, al momento della comunione. Anche nei canti, seppur nella loro semplicità, non c’è traccia di stonature. È qui, tra le preghiere, le immagini e i canti pienamente cattolici e pienamente giapponesi, che si ammira il miracolo dell’inculturazione. I fedeli vengono non solo da Akabane, ma anche dai quartieri vicini e dalla prefettura di Saitama.
Al termine della cerimonia, dopo i saluti dei parrocchiani, fra Taira ci accoglie nel suo ufficio. È pieno zeppo di foto, libri, documenti. Ma la sua attenzione è rivolta a un armadio, dal quale estrae con cura il reliquiario con dentro un frammento osseo di sant’Antonio. «Ogni 13 giugno – ci racconta – lo esponiamo ai fedeli per la preghiera». Nei discorsi di fra Taira la dimensione parrocchiale si intreccia sempre con quella conventuale: «Siamo cinquanta frati in tutto il Giappone, con undici chiese, due scuole superiori e sette scuole materne. Accanto a noi ci sono l’Ordine francescano secolare e la Milizia dell’Immacolata».
Secondo i dati della Conferenza episcopale giapponese, risalenti al 2021, i cattolici nel Sol Levante sono 431mila, ovvero lo 0,34% della popolazione. Ma la loro impronta sulla società si fa sentire: dall’attenzione alla carità – nel Paese e verso il Terzo Mondo – fino all’educazione. Dalla finestra dell’ufficio osserviamo le giostrine della scuola materna parrocchiale. «Abbiamo centoventi bambini – ci confida il religioso – solo due o tre sono cattolici. Ma molti genitori giapponesi rispettano la Chiesa e ci tengono che i loro figli frequentino le scuole cattoliche».
Mentre solo alcuni si convertono e chiedono il battesimo – ad Akabane si celebrano due volte l’anno, a Natale e a Pasqua – molti di coloro che hanno frequentato scuole cattoliche continuano a gravitare attorno alla comunità cristiana, pur conservando l’identità scintoista e buddhista: «In Giappone molti sentono la mancanza di spiritualità: è questo che guida chi sceglie di battezzarsi». Con fra Taira visitiamo il piccolo centro parrocchiale: è la prima domenica del mese e, divisi in gruppi, gli uomini, le donne e i giovani si incontrano per la loro riunione. Si discute della vita della comunità, si approfondiscono argomenti spirituali, si rafforzano le relazioni tra tazze di tè verde e dolcetti tradizionali giapponesi. Tra i giovani ritroviamo alcuni dei chierichetti della celebrazione. Fra Taira ammette: «Oggi ne avete trovati pochi, ma lui – dice, indicando il chierichetto che portava la croce nella processione iniziale – ad aprile entrerà in seminario». Sarà lui, insieme a tanti altri, a portare avanti il testimone del Vangelo.
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