20 Dicembre 2025

Serietà e felicità possono stare insieme?

La terza domenica di Avvento, chiamata domenica «gaudete», cioè «gioite», è la domenica della gioia e il vangelo ci parla di Giovanni Battista, un santo severo ed esigente… come stanno insieme queste due cose?
Serietà e felicità possono stare insieme?
Leonardo da Vinci, schizzo raffigurante San Giovanni Battista (XVI secolo).
© ilbusca / DigitalVision Vectors / Getty Images

La terza domenica di Avvento è chiamata domenica «gaudete», cioè «gioite»: il colore liturgico viola lascia lo spazio al rosaceo, e tutti i testi della messa ci parlano della venuta di Gesù ormai vicina! Eppure il testo del vangelo ci presenta la figura di Giovanni Battista… Forse non ci viene spontaneo accostare l’esperienza della gioia alla figura di Giovanni, che probabilmente immaginiamo come un uomo severo, arcigno, integerrimo, esigente… Eppure credo che il brano di oggi invece ci aiuti a vedere come la serietà e profondità di una vita donata fino in fondo porti proprio alla gioia, alla comprensione, perfino alla leggerezza. Anzi, potremmo spingerci a dire che la gioia vera arriva solamente da una vita «seria»! E anche viceversa: una vita «seria» è proprio quella che porta ad una gioia vera… Allora proviamo a lasciarci «convertire» da questo testo del vangelo di Luca ed entrare nel mistero di questo Dio che viene per noi, a nostro favore, sempre!

Lettura dal vangelo secondo Luca (3,10-18)

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

«Che cosa dobbiamo fare?» (vv. 10-14)

Il brano inizia con una domanda chiave: «Che cosa dobbiamo fare?». Questa domanda, ripetuta tre volte, dice di una tensione profonda del cuore umano: il desiderio di sapere come orientare la propria vita, il desiderio di capire come uscirne, come sciogliere un nodo… forse, in fondo, il desiderio di una vita bella, piena, felice… È la stessa domanda di san Francesco: «Signore, cosa vuoi che io faccia?».

Se siete su questo blog di ricerca vocazionale sono sicuro che anche nel vostro cuore si agita questa domanda: «Signore, cosa devo fare?». E forse mai come in questo periodo storico, così incerto, così enigmatico, credo che ci chiediamo tutti, smarriti nella nebbia, «Signore, dicci tu cosa dobbiamo fare!». Giovanni a questa domanda risponde in un modo che non ci aspetteremmo, con una semplicità disarmante, con una proposta che è alla portata di tutti. Proprio lui, che a sé stesso aveva chiesto tutto senza sconti, agli altri chiede solamente il minimo necessario… E qui sta il primo segreto della «gioia seria» (quella vera!): di chi invece che fare continui sconti a sé stesso e pretendere tutto dagli altri, sa chiedere il massimo possibile a sé, e solamente il minimo necessario agli altri!

E cosa chiede Giovanni? Tre cose:

Condividere i beni: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (v. 11). Giovanni non chiede miracoli né eroismi, ma un’apertura del cuore che si traduca in gesti semplici e ordinari. Non si tratta di risolvere tutti i problemi del mondo, ma di fare la propria parte, iniziando da ciò che si ha. Un armadio troppo pieno, una tavola abbondante, persino il mio sacro «tempo libero», possono diventare strumenti di carità. La condivisione è una scelta quotidiana, che spesso richiede di vincere la paura di non avere abbastanza, la premura del «non si sa mai», la pigrizia del «non ho voglia»…

Agire con giustizia: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (v. 13). Ai pubblicani, spesso visti come simbolo di disonestà, Giovanni non chiede di lasciare il loro lavoro, ma di svolgerlo con rettitudine: è una rivoluzione per il popolo di Israele, che considerava i pubblicani dei peccatori pubblici a prescindere dalle loro azioni o intenzioni… Dio non pretende da noi di cambiare il nostro DNA: in qualche modo «siamo quello che siamo»… accogli ciò che sei e cerca di vivere bene ciò che sei chiamati a vivere!

Esercitare il potere con misericordia: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (v. 14). Ai soldati, Giovanni chiede di non abusare del loro potere. Anche in questo caso, non si tratta di compiere grandi gesti eroici, ma di esercitare il proprio ruolo con rispetto e umanità. È un richiamo che vale per tutti: nelle piccole o grandi responsabilità che ci sono affidate, siamo chiamati a essere strumenti di pace e non di conflitto. Forse a volte usiamo le nostre parole, i nostri ruoli o le nostre decisioni per distruggere e dividere, piuttosto che per essere segno di misericordia, di accoglienza, di cura.

L’insegnamento di Giovanni allora è molto chiaro: la conversione non passa attraverso gesti straordinari, ma attraverso la «fedeltà all’ordinario». Un lavoro svolto con cura, una responsabilità accolta con fedeltà, un impegno portato avanti con serietà, la preghiera quotidiana, le relazioni in famiglia, sul lavoro, a scuola, con gli amici… La conversione più grande sarà quando mi convincerò che la cosa veramente straordinaria è «fare bene l’ordinario».

«Viene colui che è più forte di me» (vv. 15-17)

Giovanni Battista si presenta come una voce che prepara, un testimone, un segno. Non pretende mai di essere il centro dell’attenzione; anzi, con estrema umiltà, riconosce il proprio limite: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali» (v. 16).

Giovanni sa di essere solo uno strumento nelle mani di Dio, un piccolo mezzo attraverso cui il Signore opera. La sua missione non è attirare l’attenzione su di sé, ma orientare tutto verso Gesù. Questo atteggiamento ci insegna una seconda legge fondamentale: non siamo noi a cambiare i cuori, non siamo noi a trasformare la realtà. Tutto ciò che possiamo fare è indicare Cristo. Giovanni lo esprime chiaramente con l’immagine della pala: «[Lui] tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile» (v. 17). Non siamo noi a separare il frumento dalla paglia, né il grano dalla zizzania. Questa è un’opera che solo Dio può compiere, perché solo Lui vede fino in fondo i cuori degli uomini. «Lui tiene in mano la pala», non noi! Qui emerge tutta la differenza tra l’uomo e Dio. Spesso ci affanniamo nel tentativo di correggere, giudicare o cambiare chi ci sta intorno, ma Giovanni ci ricorda che questo non è il nostro compito. Lui tiene in mano la pala, non noi! Lui è l’unico che sa cosa sia frumento e cosa sia paglia, cosa appartenga al regno dei cieli e cosa sia destinato a perire.

Per questo è lui che ci battezza, che ci immerge, due volte: anzitutto nello Spirito Santo, che è il suo amore che rende eterno ogni bene, che «raccoglie il grano» buono della nostra vita; e poi anche nel fuoco, che è ancora il suo amore, ma stavolta con il compito di sciogliere e cancellare ogni peccato, «bruciare la paglia» che c’è, per renderci belli e puri davanti a Dio. Questa immagine allora ci riempie il cuore di speranza (per questo è la domenica della gioia): Dio non si arrende mai di fronte alla nostra fragilità, ma anche nelle parti più «paglia» della nostra vita, lui vede «frumento», e lavora pazientemente per salvarlo. Questa consapevolezza ci fa bene, ci dà sollievo, ci libera da tante ansie… Ci insegna tante cose: che essere strumenti significa accettare i nostri limiti, confidare nell’opera di Dio e non scoraggiarci quando sbagliamo oppure non vediamo subito i frutti; che non dobbiamo sostituirci a Dio e pretendere di essere giudici dei cuori degli altri; che la pala è nelle mani di Dio, ma la nostra fedeltà quotidiana è il terreno su cui lui opera!

«Giovanni evangelizzava il popolo» (v. 18)

Nonostante la severità delle immagini usate da Giovanni (la pala, il fuoco,…) il centro del suo messaggio non è la paura, ma una il Vangelo, la buona notizia. Giovanni non predica la condanna, ma la conversione, cioè un «cambiamento possibile». Il modo migliore per correggere e spingere qualcuno verso il bene non è minacciare, ma mostrare la bellezza di una vita piena di senso, illuminata dall’amore di Dio. È questa bellezza che Giovanni testimonia. Non è la paura a farci cambiare, ma il desiderio di rispondere a un amore che ci viene incontro, anche quando siamo pieni di fragilità e peccati. Pensiamo a Gesù: non si è presentato con un giudizio freddo e implacabile, ma con mani pronte a rialzare, parole capaci di guarire, occhi ricolmi di accoglienza. È questa la bellezza che trasforma, perché ci fa desiderare di essere migliori, non per paura della punizione, ma per amore di Colui che ci ha amati per primo.

Questo ci interpella profondamente: nelle nostre relazioni siamo chiamati a guardare agli altri con lo stesso sguardo di Dio, uno sguardo che non condanna ma spera. Invece di puntare il dito sui difetti o sulle mancanze, siamo chiamati a far emergere il bene, a offrire una possibilità, un orizzonte nuovo. Allora sembra evidente che, alla fine, il compito di Giovanni è portare gioia. Il suo grido nel deserto non è una condanna sterile, ma un invito a guardare al Messia che sta per venire, a prepararsi per accogliere un amore più grande. Questo è il cuore dell’Avvento: non uno sforzo pesante, ma una risposta gioiosa a un Dio che viene per noi. Che Giovanni Battista allora ci aiuti a vivere una vita impegnata e serena, come chi sa riconoscere di essere figlio/a amato/a, e peccatore in mezzo agli altri… una vita che profuma di «gioia seria!».

Buon cammino di Avvento ancora a tutti

fra Nico – franico@vocazionefrancescana.org

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Data di aggiornamento: 20 Dicembre 2025

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