La grazia delle divisioni
In quest’anno del Signore 2017 soffiamo le cinquecento candeline di due avvenimenti, ugualmente capitati nel lontano 1517, che reputiamo altrettanto del Signore. Avvenimenti per certi aspetti anche molto diversi tra di loro, che potrebbero essere successi nello stesso anno per caso. Li accomuna, però, un medesimo Papa, Leone X, che ne è l’artefice o almeno una delle cause in gioco; un medesimo spazio geografico, religioso e culturale, la nostra Europa che così tormentata lo doveva essere anche allora; e l’esito drammatico finale: la divisione in blocchi contrapposti, mica tanto disponibili a farsi concessioni, ma altresì decisamente risoluti a sopraffarsi. Almeno in termini di verità storica e dogmatica. Linee che si spezzano, ricominciando a correre ma dopo tali cesure da determinare corsi storici nuovi e inediti sia per la Chiesa in Occidente che per il movimento francescano. Perché proprio della nostra Chiesa e dell’ordine che fu di san Francesco e sant’Antonio stiamo parlando.
Secondo la tradizione, Lutero affisse l’elenco delle sue 95 tesi sul portone della chiesa del castello della cittadina tedesca di Wittenberg, il 31 ottobre 1517. Il frate agostiniano, polemizzando con il Papa sulla questione delle indulgenze, dava il via di fatto a quella che diventerà la cosiddetta Riforma protestante, infine una Chiesa distinta da quella cattolica. Ricordate? Ne abbiamo scritto nel numero scorso.
Qualche mese prima, papa Leone X, nel tentativo di mettere pace e ordine tra le varie anime che ribollivano e si fronteggiavano nel movimento francescano, ne decretò di fatto la scissione tra frati minori della regolare osservanza e frati minori conventuali, con la bolla Ite vos del 29 maggio 1517. La storia dell’ordine francescano è del resto caratterizzata da continue riforme al proprio interno. Al punto da farne, forse, uno dei movimenti religiosi più inquieti, instabili, eppur costanti, della Chiesa. Riforme vissute ogni volta con la sofferenza della lacerazione della fraternità, ma anche con l’entusiasmo e la speranza di ridare nuova linfa al carisma francescano, stante tempi e luoghi sempre diversi. In entrambe queste storie si perse probabilmente l’occasione di dar vita davvero a una riforma, per cavarsela con una, più a portata di mano, divisione. Lasciamo agli storici di scandagliare dinamiche e responsabilità.
Ma non potrebbe essere anche l’occasione per una lettura diversa, meno negativa, forse più evangelica, delle vicende di quegli anni? Potrebbe essere che il semper reformanda appartenga costitutivamente alla comunità cristiana e alla famiglia francescana? Che se smettessero di farlo, questo sì sarebbe un autentico tradimento? Una storia complessa, litigiosa persino, con un esito apparentemente di sconfitta: la divisione in due, tre, e più famiglie!
Che c’è di bene in questo? C’è che possiamo essere fraternità accoglienti: perché partiamo ognuno da ciò che ci manca, prendiamo le mosse da «un di meno». Solo così si potrà superare la nostra attitudine immunitaria, ovvero la nostra tendenza a reagire nei confronti di ogni agente antigene, scatenando contro di esso quegli anticorpi che ci consentirebbero di rimanere fedeli a noi stessi. Mentre in realtà difendiamo noi stessi consentendo e grazie al fatto che gli altri sono diversi da noi. Perché penso che l’accorata preghiera per l’unità dei suoi discepoli, che Gesù rivolse al Padre proprio dal cenacolo dell’ultima cena (Gv 17,11), non intendesse creare un’unica grande e compatta tifoseria: che canta gli stessi inni, stravede per gli stessi colori, indossa la stessa sciarpa, segue unicamente la squadra del cuore, si appassiona per gli stessi idoli. E, soprattutto, ce l’ha con tutti gli altri.