Vivere da frate francescano
Cari amici in cammino e in ricerca vocazionale, il Signore vi dia pace. Recentemente è uscito un volumetto pubblicato dalle Edizioni Messaggero Padova intitolato: Francesco d'Assisi. Un cristiano lieto, povero, umile, semplice, buono (febbraio 2017), con il contributo di alcuni frati miei confratelli davvero bravi e competenti.Il curatore, fra Luigi Francesco Ruffato (un frate del convento del Santo) ha posto come prefazione un’intervista a un suo anziano e saggio fratello di comunità, frate Francesco Masin (90 anni). Ve la ripropongo sia per farvi conoscere la pubblicazione che intende parlare di alcune virtù care a san Francesco d’Assisi, sia per aiutarvi a conoscere meglio la vita di noi frati che a queste virtù (per quanto poveramente) cerchiamo ogni giorno di ispirarci. Un grazie di cuore a fra Francesco M. per la sua bella testimonianza. Al Signore Gesù sempre la nostra lode.
fra Alberto (fra.alberto@davide.it)
«Non faccio fatica a vivere da francescano»
Conosco un fraticello di nome Francesco, al secolo Giovanni. Conversando, ma soprattutto frequentandolo, mi sollecita e convince a praticare le virtù di cui si parla in questo libretto. È lieto, umile, semplice, povero, ma non senza cultura religiosa, preoccupato di diventare santo. Parla della sua vocazione francescana e la presenta come un simpatico scherzo della vita. Ma scherzo non è: parlando di sé racconta la verità, tutta la verità. Non per farsi conoscere, ma per far contenti quelli che vorrebbero assomigliargli, senza farsi frati. Il lettore sarà soddisfatto nel riscontrare che domande e risposte sono la storia di un uomo, prima di essere la storia di un frate. Iniziamo con una domanda che lo rende simpatico a prima vista.
Frate Francesco, perché è sempre con il sorriso sulle labbra? Perché voglio bene a tutti. L’ho imparato da...L’ha imparato da chi? Da san Francesco d’Assisi. Me l’ha fatto conoscere un frate con i capelli bianchi. Aveva i fianchi cinti da un grembiule, macchiato come fosse la facciata di una cattedrale. Ha iniziato a parlarmi di sant’Antonio, per arrivare a farmi conoscere san Francesco. Non poteva avvenire diversamente. A casa mia si era molto devoti di sant’Antonio. Per noi era il santo dei miracoli, l’amico dei poveri. Noi contadini soffrivamo la fame. E nella fame della mia famiglia ho imparato a capire che cosa può significare, da frate, emettere i voti di povertà per tutta la vita; e sempre nella mia famiglia ho imparato presto a contentarmi lietamente del necessario. Insegna san Francesco: «Dove c’è povertà e letizia, là non c’è cupidigia e avarizia».
Frate Francesco non dimentica mai le sue origini. Anche da frate, coltiva un’estesa lingua di terra sulla quale i confratelli hanno piantato un cartello: «Orto Checco». Quando lo trovi seduto a contemplare gli ortaggi, che crescono a vista, ti fa un sorriso di compiacenza. Nel tempo libero dagli impegni quotidiani, pesca nel canale Santa Chiara, che scorre a fianco del convento. I pesci che abboccano li accarezza prima di rimetterli in libertà. Ha compassione anche delle papere che faticano a trovare da vivere in acque inquinate. Ha reagito, senza stizza, quando un airone si è pappato i pesciolini colorati, custoditi nelle due vasche che abbelliscono un tratto di giardino, dedicato al confratello Placido Cortese, martire della carità, ucciso a Trieste dalla Gestapo. Schiaccia le «noci di sant’Antonio» per i colombi che volano sulle cupole della Basilica del Santo e si calano sul sagrato. Frate Francesco è un uomo che prega, lavora e legge con fede la Bibbia.
Capisco perché in un Paese industrializzato come l’Italia si è proclamato patrono S. Francesco d’Assisi: tutti lavorano. Ho detto bene?Fa un sorriso e continua: «Cerco il meglio!»Un esempio? Il primo rispetto al voto di povertà per me è lavorare la terra, coltivare ortaggi per il fabbisogno della comunità dei frati, e per i poveri. La fatica per il pane dei poveri è una virtù evangelica. Il resto lo fa la Provvidenza. Il sorriso, poi, fa parte dell’Ordine Francescano, che non prevede di aggregare persone tristi.
Passo a un’altra domanda: «E lo studio, l’istruzione, la cultura?», perché frate Francesco, come tutte le persone semplici e povere, parla spontaneamente il dialetto.C’è una ragione? Io non sono sacerdote. Ma frequento corsi per comprendere il Vangelo. Però mi piacerebbe diventare semplice come san Francesco che ammirava Dio nel creato e lo ascoltava nel Vangelo. In sogno sono arrivato a celebrare la Messa fino all’offertorio… non mi sentivo degno di andare oltre. E poi tengo fortemente viva la scena del giovane Francesco che bacia un lebbroso. Bisogna avere un grande amore in corpo per arrivare a tanto. Si possono leggere mille libri, ma per baciare un lebbroso ne basta uno: il Vangelo di Gesù.Un giorno gli chiesi: Ti piacerebbe parlare alle migliaia di pellegrini che gremiscono la basilica di Sant’Antonio? Preferisco servire il Signore in silenzio. Questa è la mia predica quotidiana. Vorrei essere un buon frate, anche se non sono capace di molte cose. Mi accontento di poco e penso soprattutto ai poveri. I comuni cristiani dicono che la nostra vocazione è cosa grande, ma io sostengo che non è opera nostra, ma della bontà del Signore. Dio, con noi, fa il vasaio.
Il nostro frate ha vissuto per oltre 40 anni con disabili. Quando lo incontrano gli si buttano al collo e lui fa vedere qualche lacrima di commozione. Alcuni non parlano, non sentono, non vedono, ma gli vogliono un gran bene. «Un giorno uno di quelli mi si aggrappò, pensando di essere stato abbandonato dai suoi genitori. E mi sussurrava balbettando: "Sei tu la mia mamma, il mio papà”».
Frate Francesco, descrivimi la tua giornata.Sorridendo, mi fa una sintesi: «Di giorno lavoro e prego, e di notte dormo. Beh!… prendiamo il caffè al mattino, pranziamo e ceniamo insieme; e sempre insieme, in comunità, preghiamo tre volte al giorno».Non ti stanchi a pregare?Mi accompagna alla tomba di Sant’Antonio e rimane per alcuni istanti in silenzio, a contemplare le centinaia di pellegrini che poggiano la mano sul marmo grigio che protegge i resti mortali del Santo. Poi sottovoce: «Vedi quanta gente non ha perduto la memoria di pregare coraggiosamente davanti a Dio! Questi sono i veri miracoli di Sant’Antonio: chi arriva qui si ricorda di Dio! A volte, quando posso, mi siedo sul banco più vicino alla tomba del Santo e in silenzio mi immagino di essere un pellegrino in cerca di grazia, come facevo da bambino, condotto dalla mia mamma».Tu sei un fortunato! Preferisco pensare di essere stato scelto dal Signore a vivere da frate. Non è poi una gran fatica. A poco a poco Dio continua a lavorarmi e senz’altro, ogni giorno che passa, vedo le cose con un occhio diverso. Affronto le difficoltà con un altro spirito. Non c’è niente che valga la pena quanto lottare, fino alle nostre ultime possibilità, per far conoscere Gesù, per costruire qualcosa di buono. Il Signore mi chiama a essere fedele, a non lasciare posto alla mediocrità. I frati, le suore, direi i cristiani, non possono sedersi a metà strada. La scelta di praticare le virtù cristiane non è nostra. È un regalo di Dio. L’ha detto papa Francesco: Ognuno di noi ha una storia, una storia di grazia, una storia di peccato, una storia di cammino. Ecco perché fa bene pregare con la nostra storia.Fratello, qual è la virtù a cui più tendi? La semplicità. Vorrei essere trasparente, guardare le cose per dare un’anima a tutto. Stare con le persone per testimoniare che le amo, come sono davanti a Dio. Vorrei essere limpido come l’acqua pura, chiara. Mai banale. Vorrei desiderare solo il necessario. Avere un cuore che non insuperbisce, non cerca cose grandi, superiori alle mie forze. Da qualche anno sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre (Salmo 131). Vorrei essere come il seme, di cui parla il Vangelo (Marco 4,27), deposto nella terra: Dorma o vegli l’uomo, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come? l’uomo non lo sa. Provo il gusto del riserbo. Nel silenzio vinco la tentazione di sentirmi più di altri. Spesso chiedo al Signore di conservarmi l’animo di un bambino. Così mi sembra di vivere come San Francesco insegnava ai suoi frati: abbandono sincero e spontaneo ai confratelli, fino a lavarsi i piedi, gli uni gli altri. Gesù raccomandava ai discepoli di essere semplici come colombe ma anche prudenti come serpenti, sinceri ma non stupidi, ingenui.Tu come ti senti nella comunità di cui fai parte? Devo dire che in una comunità numerosa è più facile trovare degli amici che dei fratelli. Non perché mi dispiaccia di essere ufficialmente della medesima famiglia, ma perché l’amico ha uno sguardo particolare e uno scambio di sentimenti, come nel Vangelo Gesù si manifesta a Giovanni. L’amicizia affascina e rafforza la fraternità francescana. San Francesco faceva sorridere le cose fino a chiamarle sorelle, amiche; tanto le vedeva belle. Aveva degli amici, tanto cari quanto semplici e sinceri: penso a frate Leone, frate Masseo, frate Ginepro e altri che resistono nel momento della prova, non ti schivano, anzi sono disposti a dare la vita per te. Mi torna spesso alla mente il Gesù dell’ultima cena: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Dice la Bibbia: Ci sono amici più affezionati di un fratello (Siracide 37), ti amano in ogni circostanza, ti sono fratelli nel giorno delle avversità (Proverbi 17,17). Se vuoi un amico vero, sceglilo nella prova (Siracide 6,7). Mi ricordo un versetto della Bibbia che mi piace molto: Meglio un pezzo di pane secco e la serenità, che una casa dove si banchetta splendidamente e si litiga (Proverbi 15,17 e 17,1). La serenità allunga i giorni della vita, tensione e rabbia la accorciano (Siracide 30,22-24).Frate Francesco, come fai a conoscere la Bibbia fino a citarla così? Sapendo che dovevo rispondere alle tue domande, mi sono preparato.I religiosi, francescani e non, donne e uomini, praticano, per obbligo, tempi di silenzio, il mattino presto e la sera. A che serve? Il silenzio, il raccoglimento, mi diceva il Maestro in noviziato, è un formatore efficiente. Insegna ad ascoltare la coscienza, a pregare, a vivere per servire, ma, soprattutto, a stare con Dio, ad ascoltarlo. È il silenzio che suggerisce le parole giuste. Quando ho la possibilità di contemplare il cielo stellato dalla finestra della mia cella, m’incanto come davanti a un amico caro. Mi pare che anche san Francesco si incantasse a fissare le distanze della terra dal cielo. Io godo dell’amicizia certa di Gesù, ma a volte mi accorgo di trasformare l’amicizia in richiesta di cose o di virtù che mi interessano. Mi riconosco in quello che scrive papa Giovanni XXIII nel suo Diario: Io mi considero un sacco vuoto, che si lascia riempire dallo Spirito.Tu temi il giudizio degli altri? Ti rispondo con un proverbio tibetano, citato da un mio confratello in un biglietto augurale: Il saggio mette un pizzico di zucchero in tutto quello che dice agli altri e ascolta con un grano di sale tutto quello che gli altri gli dicono.Ti posso fare una domanda un po’ delicata? Prego.Tu pensi qualche volta alla morte? Il problema, fratello, non è pensare alla morte, ma sapere dove si va, dopo la morte. L’ha detto papa Giovanni XXIII al celebre giornalista Enzo Biagi, incuriosito di conoscere la risposta da un papa, che stimava molto.E del paradiso, che idea ti sei fatto? «Il paradiso è nascosto dentro di noi. Ora è nascosto anche dentro di me. Se voglio, domani stesso per me comincerà realmente e durerà tutta la mia vita». Questa risposta me l’ha inviata un frate francescano della Facoltà Teologica di Padova. È attribuita a un noto romanziere russo.A te non piacerebbe vivere a lungo quaggiù per servire Gesù nei poveri, come discepolo di san Francesco? Che domanda! Ma te lo immagini a vedere Gesù in volto, a tu per tu, e a goderlo con tutta l’anima? Dev’essere una pienezza indescrivibile dargli un bacio d’amore. San Francesco c’è riuscito, per questo incanta sempre, anche me.
Fr. Luigi Francesco Ruffato