Meno alcol più vita
«Vieni al mio compleanno?». Non è l’invito del mio nipotino alla sua festa con amichetti e parenti: ho di fronte un distinto cinquantenne in giacca e cravatta, serio serio, e la sua è una richiesta ufficiale. «Compio tre anni» mi dice Antonio chinando il capo verso di me, in confidenza. «Tre anni di sobrietà» conclude. All’invito a voce segue messaggio sul cellulare, mail sul computer, telefonata di ricordo. D’accordo, vengo. Ho l’indirizzo: il luogo è abbastanza fuori mano, corrisponde a uno stabile moderno addossato a un supermercato, limite sudest di Padova.
Ci arrivo in auto con qualche minuto di ritardo. La festa è al secondo piano: entro un po’ trafelato e riconosco subito la voce del mio amico che sta parlando alla trentina di persone sedute di fronte a lui. Al tavolo è accompagnato anche dalla moglie, che mi riconosce e rivolge un sorriso di saluto. Trovo posto – uno dei pochi ancora liberi – in fondo alla sala. Faccio appena in tempo a sistemarmi e a tirare fuori carta e penna che sento Antonio raccontare: «Quando venni qui la prima volta pensavo di trovarmi tra disadattati e barboni. Niente di più fuorviante».
Sembra un invito a guardarmi intorno: ci sono uomini e donne di tutte le età (mi sarei aspettato soprattutto maschi, e invece...). Il ragazzo davanti a me avrà 25 anni, veste casual alla moda, con i risvoltini d’ordinanza sui pantaloni. A fianco ho una signora bionda di 45 anni, l’ho incrociata all’ingresso mentre fumava, occhiali spessi e cappotto rosso. Anche l’amica vicino a lei – di tanto in tanto scambiano qualche parola – indossa gli occhiali, ma quelli da sole, di cui non ci sarebbe bisogno. Non è l’unica: noto che anche qualche altra donna non li ha tolti. Antonio prosegue: «Ho trovato gente serena che parlava tranquillamente del proprio problema. Mi hanno fatto una buona impressione, ma non mi riconoscevo nelle loro testimonianze. Poi ho letto una frase: “Se vuoi continuare a bere, è affar tuo, se desideri smettere e non ce la fai, diventa affar nostro”. Mi si è aperto un orizzonte. Ho pensato: forse sono nel posto giusto».
Il «posto giusto», per Antonio come per tante altre persone, è Alcolisti Anonimi (A.A.), la storica associazione di auto mutuo aiuto di cui proprio nel 2015 ricorrono gli ottant’anni dalla fondazione. Era il 1935 quando un agente di borsa di Wall Street (Bill W.) e un chirurgo (Bob S.), entrambi alcolisti, fondarono negli Stati Uniti questa realtà, facendo tesoro della loro esperienza: si erano resi conto che condividendo il vissuto personale e aiutandosi a vicenda riuscivano a mantenersi lontani dall’alcol. Per ventiquattr’ore intanto. Fino a domani. E poi di nuovo le ventiquattr’ore successive. E via dicendo, una settimana, un mese, un anno, uno scalino alla volta. Anzi, un passo: il metodo proposto, infatti, è riassunto in dodici passi che aiutano a cambiare stile di vita e a trovare serenità unita a sobrietà. I risultati arrivano. Così, in tanti si mettono su questa strada, che non è l’unica possibile per uscire dall’incubo della dipendenza da alcol, ma è certo una delle più titolate. Il passaparola e la buona fama danno una mano. Si calcola esistano circa 100 mila gruppi di «alcolisti anonimi» in centosettanta Paesi, di cui circa cinquecento, a coinvolgere più o meno 7 mila persone, solo in Italia. Le riunioni in genere sono a porte chiuse, ma ne vengono organizzate anche di aperte a familiari, amici e curiosi, come è il caso dell’incontro al quale sto partecipando.
Serenità, coraggio e perdono Al discorso di compleanno di Antonio seguono le testimonianze. È evidente uno schema predefinito per prendere la parola e lasciarla. «Ciao sono Mario e sono un alcolista» esordisce un signore dai capelli bianchi, al che tutti di rimando salutano: «Ciao Mario». Terminata la narrazione, la parola «passo» darà spazio a un altro. L’intervento molto semplice di Mario mi colpisce (quasi tutti mi colpiscono, a dire il vero). «Sono timido, riservato, non sto volentieri tra la gente. Mi era difficile chiedere aiuto. Ogni tanto compravo un gratta e vinci, ma col tempo ho scoperto che la fortuna non passa di lì: la fortuna è che sono sei mesi che non bevo (scatta l’applauso, ndr) e l’aver trovato un gruppo di amici che i me voe ben (mi vogliono bene, ndr). Prima, non me ne fregava di niente e di nessuno. Adesso va meglio, anche in famiglia. Ecco, non mi aspettavo un approccio così spirituale. È stata una rivelazione. Sì, ero cristiano, andavo qualche volta a Messa, ma basta. Ora, credere in un Potere più grande di noi sta cambiando tutto».
Anch’io non avevo capito quanto la spiritualità fosse determinante in Alcolisti Anonimi. Prendo in mano la paginetta che mette in fila i dodici punti: ritrovo l’espressione «Potere più grande di noi» già al secondo. Dal terzo in poi, e per altre tre volte, si è anche più espliciti: è «Dio, come noi potemmo concepirLo». Non si tratta di indeterminismo, ma di un approccio che vuole accogliere il cammino di ciascuno, perché Alcolisti Anonimi non è un’associazione confessionale. Negli interventi successivi comunque sento nominare Gesù, Dio Padre, la Bibbia, il Vangelo, con la massima libertà. E l’incontro terminerà con la recita di una preghiera: «Signore concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso, la saggezza di conoscerne le differenze».
Nelle testimonianze si parla anche di inferno, parola usata da Stefano, quarantenne molto curato, voce spiccia e determinata, per dire dove era sprofondato: «L’alcol era mio compagno fin da giovane. Bevevo per essere meglio degli altri, più furbo. Poi mi ha presentato il conto. Io ho un bar. Scendevo al bancone prima dell’apertura e bevevo, per non tremare. Poi rabboccavo fino a sera. Sentivo di non riuscire ad andare avanti senza alcol. Mi sono sposato perché mia moglie è rimasta incinta. Pensavo che con un figlio avrei smesso, e invece niente. Quando è nata la seconda è andata anche peggio. Mia moglie mi ha minacciato di andarsene se non smettevo: non ho smesso e se n’è andata. Su invito dei miei ho deciso di ammettere di avere un problema. Ho iniziato a frequentare Alcolisti Anonimi. Leggendo Il Grande Libro ho capito che il problema non era l’alcol ma ero io, che non accettavo né me né gli altri. Con i dodici passi ho cominciato a lavorare su di me, a rivolgermi a Dio. Il punto più duro è stato chiedere perdono alle persone cui avevo fatto del male col mio comportamento. Quanto ho vissuto con l’alcol non lo auguro a nessuno: ho fatto una vita d’inferno e l’ho imposta a chi mi era vicino».
Il Grande Libro, ovvero il testo fondamentale dell’associazione, Antonio me lo regala a fine incontro, mentre mangiamo la torta di compleanno, dopo che parecchi altri convenuti hanno preso la parola con le loro storie di persone normali che, a un certo punto, con un motivo o apparentemente senza un motivo, si sono trovate invischiate nell’alcol. Mi aspetto un libro teorico e invece, anche qui, mi sorprendo nel trovarvi soprattutto storie, storie dei primi «alcolisti anonimi» internazionali e italiani, alcune eclatanti, altre, la maggior parte, piane, di cambiamento lento e progressivo.
È per me l’ora di congedarmi. «Serene ventiquattr’ore!» qualcuno mi augura: è il saluto usuale tra gli alcolisti. «Perché il peggiore – mi rivela Lorenzo con un sorriso – è il primo bicchiere, basta scansare quello e poi per gli altri non c’è problema…».
FRA DANILO SALEZZEL’auto mutuo aiuto? Funziona Ha compiuto a luglio trentacinque anni la Comunità San Francesco onlus di Monselice (PD), realtà impegnata nel sostegno alle famiglie con problemi correlati all’uso di droga e di alcol. Tra i frati conventuali fondatori della Comunità c’è anche fra Danilo Salezze, già direttore generale del «Messaggero di sant’Antonio», qui interpellato in qualità di esperto.
Msa. Come ha visto evolversi la lotta all’alcol?Salezze. Nel 1995 usciva la Carta Europea sull’Alcol, per diffondere una cultura sanitaria scientificamente fondata circa il diritto di conoscere, essere protetti e accedere alle cure possibili rispetto all’uso di bevande alcoliche. In vent’anni, però, la pubblicità degli alcolici non è calata, né si è ridotta la libertà, anche per i minorenni, di accedere all’alcol. C’è in Europa, è vero, un sensibile calo del consumo di vino, ma non vanno trascurati i gravi danni che comunque le bevande con alcol, dalla birra alle nuove offerte a bassa ma insidiosa gradazione, arrecano.
L’auto mutuo aiuto è una risposta efficace? Sì, le forme più diverse di auto mutuo aiuto sono di impareggiabile utilità sociale. Realizzano «dal basso» un’azione di trasformazione sociale verso il benessere personale e famigliare. I gruppi – gli A.A. piuttosto che i Club Alcologici Territoriali o altri – costituiscono spazi di interazione calda e accogliente che induce da subito fiducia. Inoltre, non avendo alcuno scopo se non il benessere dei partecipanti, i gruppi indicano – qualora non siano prigionieri di un’idea troppo medicalizzata circa l’origine e la cura del problema – l’opportunità di vivere senza usare alcuna sostanza, idea valida per chiunque.
Che cosa fa scattare la decisione di smettere di bere? Si smette o riduce il bere quando si diventa consapevoli dei rischi che si corrono a ogni assunzione di alcol. Dati alla mano, la maggioranza delle problematiche fisiche, familiari, lavorative e sociali correlate al consumo di alcol non sono attribuibili ai «grandi bevitori», ma provengono dai numerosissimi «bevitori moderati». Molti approcci al problema alcol – come quello medico, moralistico, giudiziario – hanno spesso fallito, perché si rivolgevano solo ai «patologici»; basarsi su un concetto più ampio di salute, che include la prevenzione e la promozione, apre nuovi orizzonti. Ognuno deve esaminare il proprio consumo personale di alcol, perché nessuno è al riparo da rischi, anche molto gravi, per sé e per gli altri.